«Mi stai tradendo?» — e tutto cominciò a crollare.
Francesca rientrò a casa a notte fonda. Si tolse il cappotto, estrasse dalla borsa una torta portata dal lavoro e si diresse in silenzio verso la cucina. Non parlava, ma dentro di lei ribolliva. Negli ultimi mesi, la sua vita sembrava sfuggirle di mano. Ma Francesca resisteva. Preparò la cena, accese i fornelli, tagliò l’insalata e mise in tavola. Alle otto in punto, come da rituale, il marito entrò in casa.
Matteo si tolse la giacca in silenzio, raggiunse la cucina e si sedette. La fissò per alcuni secondi, poi, con un’espressione cupa, disse:
«Non mi stai tradendo, vero?»
Francesca si bloccò, un piatto ancora tra le mani. Un gelido silenzio. Solo il ticchettio sordo dell’orologio a muro.
«Da cosa lo deduci?» chiese, fredda, senza muoversi.
«È che… sei diversa. Ti trucchi di più. Ti vesti con colori vivi. Torni più tardi dal lavoro. Sembri innamorata di nuovo.»
Appoggiò il piatto davanti a lui con un gesto secco.
«Dici sul serio?» sibilò lei. «Sto lavorando due turni per riuscire a pagare il mutuo. Tu non porti un euro a casa da marzo. Non ti ho mai rimproverato nulla. Ma invece di sostenermi, mi accusi, solo perché ho cambiato pettinatura!»
Matteo si alzò di scatto e, senza toccare la cena, sparì in camera, sbattendo la porta.
Una volta, Francesca credeva di aver avuto fortuna a sposarlo. Matteo era allegro, affidabile, non beveva, non andava con altre donne. Dopo le nozze, presero un appartamento in affitto, poi nacque il figlio, Luca, e due anni dopo accesero il mutuo. Lavoravano entrambi, ma lui faceva carriera, mentre lei si occupava della casa e del bambino.
Poi, in un anno, tutto crollò. Matteo perse il lavoro, passava le giornate sul divano con il laptop, lamentandosi. Francesca tirò avanti da sola. Una collega le suggerì un lavoretto: badare a un’anziana signora sola, fare la spesa, portarle le medicine e tenerle compagnia.
Così Francesca conobbe la signora Rosalba, donna eccentrica ma brillante, che pagava solo per un po’ di conversazione. Era la prima volta, dopo anni, che Francesca si sentiva ascoltata non come casalinga o madre, ma come persona. Davanti a una tazza di tè, l’anziana raccontava storie del passato, rideva, filosofeggiava e ripeteva:
«Tu meriti di più. Smetti di vivere all’ombra. Alzati. Abbellisciti, amati.»
Francesca cambiò. Si tagliò i capelli, comprò due vestiti semplici ma eleganti. Cominciò a camminare a testa alta. Matteo se ne accorse e si spaventò, non di perderla, ma del suo controllo su di lei.
Un giorno frugò nel suo laptop. C’erano solo turni di lavoro, foto di Luca e ricette. Ma trovò ugualmente il pretesto per litigare.
«Stai facendo la domestica per quella vecchia? Per soldi? Non ti ho dato abbastanza in tutti questi anni?»
«Mi hai dato un figlio. E ora mi porto avanti da sola. Non mi vergogno del lavoro. Mi vergogno di stare con un uomo che me lo rinfaccia.»
Se ne andò sbattendo la porta.
Un mese dopo, Francesca chiese il divorzio. Matteo si trasferì dall’amica d’infanzia. E Francesca, per la prima volta, sentì la libertà. Non aveva paura. Solo pace. E la certezza che ora, finalmente, tutto sarebbe stato diverso. Ora, per se stessa.