Mia figlia è diventata madre troppo presto — aveva solo diciassette anni. Ancora una bambina, con gli occhi da giovane sognatrice, piena di speranze per una vita che stava appena iniziando. Ha dato alla luce un bambino, viveva con me ed io l’ho sostenuta come ho potuto — la supportavo, cullavo il piccolo di notte, preparavo da mangiare, la confortavo. Ma spesso diceva:

Sono la nonna Marta, e la mia figlia Ginevra è diventata madre troppo presto, a soli diciassette anni. Era ancora una ragazzina con gli occhi grandi e sogni appena sbocciati, intenzionata a vivere una vita intera. Ha partorito Lorenzo, ha abitato con me a Napoli, e io ho fatto di tutto quello che potevo: lo ho cullato di notte, preparato i pasti, consolato la piccola, sempre al suo fianco. Spesso però mi diceva:
Questa non è la mia vita. Voglio qualcosaltro.
A diciannove anni ha preso un volo per Londra, dicendo che avrebbe trovato lavoro, inviato denaro e regalato a Lorenzo un futuro migliore. Prometteva di tornare presto. Dopo un mese il suo cellulare non ha più risposto.
Da quel momento non ho più sentito la sua voce. Ogni tanto vedevo qualche foto su Internet: sorridente in vacanza, con amici, sembrava felice, ma né una chiamata, né una moneta, né un come va il piccolo?.
Ho dovuto prendere tutto sulle spalle mie. Ho cresciuto Lorenzo da sola: asilo, scuola, compiti, malattie e sogni da bambino. Lui mi chiamava nonna con affetto.
Quando ha compiuto dieci anni, Ginevra è rientrata allimprovviso. Ha detto di volerlo vedere, è rimasta un mese, lo ha portato a fare passeggiate sul lungomare, gli ha comprato vestiti, regali e qualche euro. Ho creduto che, forse, quella volta sarebbe stata diversa. Ma è tornata via di nuovo.
Due anni di silenzio. Non ho più atteso alcuna risposta, né litigi né rancori. Ho vissuto solo per Lorenzo.
A dodici anni è riapparsa ancora una volta, dicendo che è tornata per suo figlio, come se fosse una valigia da riprendere quando le va. Ho cercato di oppormi, ma non avevo alcun diritto legale. Ho ricevuto una convocazione per una mediazione familiare.
Durante lincontro, con Lorenzo che piangeva e implorava di non lasciarlo, ho detto:
Portatelo via. Ho già fatto la mia parte.
Ginevra lo ha portato a Manchester. È stato doloroso, ma ho accettato. Allinizio veniva ogni due settimane, poi meno spesso, infine solo durante le vacanze.
Ogni volta Lorenzo mi sussurrava:
Nonna, qui non è casa mia.
Io non lho mai incolpata a parole, ma gli ripetevo piano:
Un giorno capirai.
Quel giorno è arrivato.
A diciotto anni Lorenzo è tornato, con una valigia in mano e gli occhi lucidi. Mi ha abbracciata e ha detto:
Nonna, voglio vivere con te.
Non ho pianto; lho stretto forte e gli ho sussurrato:
Questa casa sarà sempre tua.
Oggi Lorenzo è adulto, studia alluniversità, sogna e costruisce il suo futuro. Sua madre vive lontano e lui non la cerca; dice di non essere arrabbiato, semplicemente non ha più nulla da dire.
Io sento una pace profonda, perché ho adempiuto al mio dovere. Lamore che ho dato è tornato a me, dimostrandomi che la vera famiglia non è fatta di promesse infrante, ma di legami che resistono al tempo. La vita insegna che chi coltiva con pazienza e dedizione raccoglie la serenità, anche quando gli altri abbandonano il cammino.

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Mia figlia è diventata madre troppo presto — aveva solo diciassette anni. Ancora una bambina, con gli occhi da giovane sognatrice, piena di speranze per una vita che stava appena iniziando. Ha dato alla luce un bambino, viveva con me ed io l’ho sostenuta come ho potuto — la supportavo, cullavo il piccolo di notte, preparavo da mangiare, la confortavo. Ma spesso diceva: