Mia figlia è diventata mamma troppo presto: aveva solo diciassette anni. Ancora una bambina, con occhi pieni di sogni e un futuro tutto da scoprire. Ha dato alla luce un bambino, ha vissuto con me e io l’ho aiutata come potevo: sostenendola, cullando il piccolo di notte, cucinando e consolandola. Ma lei diceva spesso:

La mia figlia è diventata madre troppo presto aveva solo diciassette anni. Una ragazzina con gli occhi dinfante e sogni di una vita che appena cominciava. Partorì un bambino, abitò con me e io la aiutai come potevo: la sorreggevo, la cullavo di notte, gli preparavo da mangiare, la confortavo. Ma spesso mi diceva:
Questa non è la mia vita. Voglio qualcosaltro.

A diciannove anni se ne andò allestero, in Inghilterra, dicendo che avrebbe trovato lavoro, inviato soldi e regalato al figlio un futuro migliore. Promise che sarebbe tornata presto. Dopo un mese, però, il suo numero non risponde più. Da allora non ho più sentito la sua voce.

A volte incrociavo le sue foto sui social: sorridente in vacanza, con amici, apparentemente felice. Ma né una chiamata, né un centesimo, né un come sta? da parte sua.

Presi tutto sulle mie spalle. Crescetti il bambino da sola: asilo, scuola, compiti, malattie, sogni da ragazzino. Lui mi chiamava nonna con affetto.

Quando compì dieci anni, la madre tornò improvvisamente. Disse di volerlo vedere. Rimase un mese, lo portò a passeggiare, gli comprò vestiti e regali, lasciò qualche euro. Credei che forse quella volta le cose sarebbero cambiate. Ma scomparve di nuovo.

Due anni di silenzio. Smisi di aspettare, non volevo più litigi né rancori; vivevo solo per quel ragazzo.

A dodici anni riapparve, dicendo di essere tornata per il figlio, come se fosse una valigia che si può riprendere quando si vuole. Cercai di oppormi, ma non avevo alcun diritto legale. Ricevetti una citazione per una udienza di mediazione.

Lì, mentre il ragazzo piangeva e implorava di non perderlo, io dissi:
Portalo via. Ho già fatto la mia parte.

Lo portò in unaltra città. Fu doloroso, ma accettai. Allinizio lo vedevo ogni due settimane, poi meno spesso, infine solo durante le vacanze. Ogni volta il ragazzo sussurrava:
Nonna, qui non è casa mia.

Non dissi mai parole dure su di lei; mi limitai a ripetere piano:
Un giorno capirai da solo.

E quel giorno arrivò. Quando ne fu compiuto diciotto, tornò a casa. Si fermò sulla soglia con una valigia, gli occhi pieni di lacrime, mi abbracciò e disse:
Nonna, voglio vivere con te.

Non piansi; lo stringei forte e sussurrai:
Questa casa sarà sempre la tua.

Ora è adulto, studia, sogna, costruisce la sua vita. Sua madre vive lontano e lui non la cerca più; dice che non è arrabbiato, semplicemente non ha più nulla da dire. Io provo una pace profonda perché ho adempiuto al mio dovere. Lamore che ho dato è tornato a me, e ho imparato che laffetto vero non si misura in minuti di presenza, ma nella capacità di essere sempre lì quando il cuore chiama.

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Mia figlia è diventata mamma troppo presto: aveva solo diciassette anni. Ancora una bambina, con occhi pieni di sogni e un futuro tutto da scoprire. Ha dato alla luce un bambino, ha vissuto con me e io l’ho aiutata come potevo: sostenendola, cullando il piccolo di notte, cucinando e consolandola. Ma lei diceva spesso: