Mia figlia si vergognava delle nostre umili origini di campagna e non ci ha invitati al suo matrimonio…

Mia figlia si vergognava delle nostre origini rurali e non ci ha invitati al suo matrimonio
Mia figlia si vergognava di noi perché eravamo di campagna. Non ci ha voluti al suo matrimonio

Io e mio marito abbiamo sempre vissuto con semplicità, ma con dignità. La nostra casa, lorto, le mucche, le preoccupazionitutta la nostra vita era dedicata a un solo scopo: crescere la nostra unica figlia perché diventasse una persona perbene. Per lei, avremmo fatto qualsiasi cosa. Il meglio? Per lei. Scarpe nuove? Certo. Un cappotto perché non fosse da meno delle ragazze di città? Naturalmente. Ci saremmo privati di tutto, pur di darle ciò che le serviva. È cresciuta bella, intelligente. Una studentessa eccellente, sognava di vivere in città. E noi? Non potevamo che esserne felicila nostra Silvia avrebbe avuto un destino diverso dal nostro.

Mio marito, grazie a vecchie conoscenze, la fece entrare in una prestigiosa università milanese. Senza pagare una lira. Ne eravamo orgogliosi come fosse una nostra vittoria. Labbiamo sostenuta in tutti i modicon le parole e con i soldi. Ogni volta che tornava a casa, era una festa. Ascoltavamo le sue storie come fossero fiabe: il suo lavoro dufficio, il suo fidanzato di buona famigliaLorenzo, figlio di un imprenditore. Splendeva mentre parlava di lui. E noi? Pensavamo solo a una cosa: speriamo che il matrimonio arrivi presto

Ma gli anni passavano, e nessuna proposta. Un giorno, mio marito non resistette più: «Invita Lorenzo a casa, così lo conosciamo!». Esitò, scusandosi con il lavoro. Una volta, poi due. I nostri sospetti crescevano. Qualcosa non tornava. Allora, un giorno, ci armammo di coraggio: saremmo andati a Milano da soli. Lindirizzo lo trovammo tra vecchie carte. Comprammo regali, indossammo i nostri abiti migliori e partimmo.

La casa era sontuosa. Marmo, vetro, portiere. Un uomo gentile ci accolse e ci portò dentro. Un lusso da film. Eravamo lì, senza sapere dove guardare, finché non ci invitarono in salotto. Ed è lì che la vidi. Sul tavolo, una grande foto di matrimonio in una cornice dargento. In abito bianco, con il bouquetla nostra Silvia. Mio marito era immobile, come trasformato in pietra. Io, invece, sentii il terreno mancarmi sotto i piedi.

«A proposito, perché non siete venuti al matrimonio?» chiese allimprovviso Lorenzo.

Io e mio marito ci scambiammo unocchiata. Cosa dirgli? Che non sapevamo nemmeno ci fosse stato? In quel momento, apparve lei. Silvia. Il suo viso si scompose, le labbra tremarono. Con un gesto, la invitai a parlare. Prima balbettò scuse, poi finalmente disse:

«Non vi ho invitati perché siete di campagna. Mi vergognavo. Non volevo che tutti sapessero che i miei genitori sono contadini».

Quelle parole mi trafissero il cuore. Come un coltello. Come? Noi? Una vergogna? Noi che avevamo sacrificato tutto per lei? Che avevamo lavorato senza sosta per darle un futuro?

«E Lorenzo?» chiesi, senza fiato. «Lo sapeva?»

«Sì. Voleva che ci foste. Vi aveva persino mandato un invito, ma gli dissi che avevate rifiutato».

Ecco. Eravamo la vergogna che aveva nascosto. Non ci aveva nemmeno lasciato il posto nel giorno più importante della sua vita. Senza una parola, senza spiegazioni. Solo cancellati.

Partimmo lo stesso giorno. Senza lacrime, senza urla. Solo un vuoto nellanima. Come si fa a vivere quando tuo figlio ti volta le spalle? Come credere che tutto questo non sia stato inutile? Che non abbiamo cresciuto una sconosciuta?

Da allora, Silvia non ha chiamato. E neanche noi. Non per rancoreper dolore. Perché non sappiamo cosa dire a chi ci ha traditi così facilmente.

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