Mia madre e mia sorella mi vedevano solo come un portafoglio viventenon si sono mai preoccupate di conoscermi davvero.
Cresciuto in una famiglia che non meritava quel nome, eravamo solo in tre: mia madre, mia sorella maggiore e io. Mio padre? Un fantasma del passato, un nome segnato sul certificato di nascita. Non lho mai conosciuto, e ogni volta che tentavo di parlarne, mia madre cambiava discorso, come se la sua esistenza fosse un tabù.
Così restavamo noi treio, mia madre e mia sorella, Donatella. Aveva cinque anni più di me, ma era come se i ruoli fossero invertiti: io ero quello maturo e responsabile, mentre lei era la principessa viziata di casa.
Mia madre ladorava. Donatella riceveva sempre i vestiti più belli, i regali più costosi, tutto ciò che desiderava. Io? Mi toccava accontentarmi dei suoi abiti usati, logori e troppo grandi. Ricordo ancora quei maglioni con le maniche lunghe che mia madre ripiegava goffamente, dicendomi: *”Dureranno ancora un anno o due.”*
Il cibo? Se Donatella aveva fame, poteva servirsi quanto voleva. Se io osavo chiedere una porzione in più, mi ricordavano con durezza che mia madre già faceva troppi sacrifici per noi.
Compleanni? Natale? Per me non esistevano. Niente regali, niente gesti daffetto. Solo i sospiri di mia madre, che mi ricordavano costantemente di essere un peso per le sue spalle stanche.
Avevo capito una cosa: per lei non ero un figlio. Ero solo un fardello.
**Il giorno in cui diventai il loro bancomat**
A sedici anni, sapevo già che nessuno mi avrebbe mai aiutato. Mia madre e Donatella erano un duo indissolubile, e io ero fuori posto.
Così iniziai a lavorare. Dopo scuola, nei weekend, ogni volta che potevo. Feci di tutto: consegnai giornali allalba, pulii tavoli in un bar, scaricai casse al supermercato.
E, nonostante la fatica, ero orgoglioso. Per la prima volta, avevo soldi miei.
Ma per mia madre era unaltra storia.
*”Allora, guadagni soldi ora?”* mi chiese una sera, con un sorriso stranamente dolce.
Annuiti, senza immaginare cosa sarebbe successo.
Mi si avvicinò e posò una mano sulla mia spalla.
*”È ora che contribuisca alle spese di casa.”*
Per “casa”, intendeva lei e Donatella.
Mia sorella non aveva nemmeno pensato di cercare lavoro. Perché avrebbe dovuto? Qualcuno si era sempre preso cura di leiprima mia madre, ora toccava a me.
**Fuggire era lunica opzione**
Finito il liceo, capii che dovevo andarmene.
Cera ununiversità nella nostra città, ma scelsi apposta una facoltà a centinaia di chilometri di distanza. Non era solo una questione di studio, era una questione di sopravvivenza.
Quando annunciai la mia partenza, lo sguardo di mia madre si gelò.
*”Ci abbandoni? Dopo tutto quello che ho fatto per te?”*
Stavo per ridere.
Lasciai casa e mi trasferii in un piccolo dormitorio universitario. Per la prima volta, conobbi la libertà. Continuai a lavorarestavolta come facchino in una stazione. Era estenuante, ma lo stipendio era buono. Finalmente potei comprarmi vestiti decenti, prendermi un caffè senza sentirmi in colpa.
Mia madre e Donatella? Non mi chiamarono mai.
Non chiesero se stavo bene, se avevo da mangiare, se me la cavavo.
Ma quando tornai per le feste, la prima cosa che mia madre disse non fu *”Come stai?”* o *”Ci sei mancato.”*
Mi scrutò e sbottò:
*”Sembra che tu abbia soldi adesso.”*
Non era una domanda. Era unaccusa.
Da quel giorno, ogni mia visita si trasformò in una trattativa infinita. Avevano bisogno di soldi. Donatella voleva un telefono nuovo, vestiti nuovi. Non chiedevanopretendevano.
Quando dissi a mia sorella di trovarsi un lavoro, rise.
*”Io? Lavorare? Sei serio?”*
**Leredità che cambiò tutto**
Dopo luniversità, trovai un lavoro stabile. Poi, un giorno, accadde linaspettato: la mia azienda mi offrì un appartamento di servizio.
Non era un lusso, ma era mio.
Quando mia madre e Donatella lo scoprirono, andarono su tutte le furie.
*”Hai un appartamento?! E non ci hai dato niente?!”*
Provai a spiegare che era un beneficio del lavoro. Non vollero sentire ragioni.
Poi, il destino colpì unultima volta.
Mio nonnoil padre di mia madremorì.
Non eravamo molto legati, ma era stato lunico a trattarmi con rispetto.
Quando il notaio lesse il testamento, stentai a crederci.
Mi aveva lasciato la sua casa e i suoi terreni.
Al che, mia madre e Donatella impazzirono.
*”Non è giusto!”* urlò Donatella. *”Ho un figlio! Ho bisogno di quella casa!”*
Nel frattempo, si era sposata, aveva avuto un figlio e divorziato. Ora pretendeva che vendessi leredità e le dessi i soldi.
Ma avevo già deciso.
Quando glielo annunciai, esplosero.
Mia madre mi chiamò egoista.
Donatella urlò, pianse, mi accusò di essere un fratello ingrato.
Le lasciai sfogare. Poi dissi, calmo:
*”Venderò la casa. Ma userò i soldi per comprare un appartamento più grande. Perché sono sposato. E mia moglie aspetta un bambino.”*
Silenzio assoluto.
Non si rallegrarono per me. Non si interessarono alla mia famiglia.
Contava solo che non avessero ottenuto ciò che volevano.
Fu lultima volta che ci parlammo.
**La famiglia che ho scelto**
Vendetti la casa e comprai un appartamento più grande per la mia famiglia.
Mia madre e Donatella?
Non hanno mai conosciuto mio figlio. Non hanno mai cercato di vederlo.
Ma sapete una cosa?
Non mi mancano.
Per la prima volta, so cosa significa avere una vera famiglia.
E non permetterò mai che mio figlio viva quello che ho vissuto io.





