La nuora mi chiese di stare alla larga poi fu lei stessa a chiedermi aiuto
Mia nuora mi pregò di non andare più così spesso da loro. Io obbedii ma un giorno fu lei a chiamarmi, supplicandomi di aiutarla.
Dopo il matrimonio di mio figlio, cercavo di far loro visita il più possibile. Non mi presentavo mai a mani vuote: preparavo sempre qualcosa di buono, portavo dolci fatti in casa, sfornavo torte. Mia nuora lodava le mie ricette, assaggiava tutto per prima. Mi sembrava che tra noi ci fosse un rapporto caldo e sincero. Ero felice di poter essere utile, di esserci per loro. Soprattutto, mi riempiva il cuore sapere di non essere unestranea, ma parte della famiglia nella loro vita.
Poi, un giorno, tutto cambiò. Andai a trovarli e trovai solo lei a casa. Bevemmo un caffè come al solito, ma sentii subito qualcosa di strano. Il suo sguardo era teso, come se volesse dire qualcosa ma non osasse. Quando finalmente parlò, le sue parole mi colpirono come un pugno al cuore.
“Sarebbe meglio se venisse meno spesso magari Marco potrebbe venire da solo a trovarvi,” disse, abbassando gli occhi.
Non me laspettavo. La sua voce era fredda, e nei suoi occhi cera forse risentimento? Non lo capii. Da quel giorno, non mi feci più vedere. Sparii dalla loro vita per non essere di peso. Mio figlio ci raggiungeva da solo. Mia nuora non mise più piede a casa nostra.
Tacqui. Non mi lamentai con nessuno. Ma dentro di me, il dolore era lancinante. Dove avevo sbagliato? Volevo solo aiutare Per tutta la vita avevo cercato di mantenere larmonia in famiglia. E ora, la mia presenza era diventata un peso. Feriva sapere di non essere più benvenuta.
Passò del tempo. Nacque il loro bambino il nostro tanto atteso nipotino. Io e mio marito eravamo al settimo cielo. Eppure, anche allora, ci trattenemmo: andavamo solo se invitati, portavamo il piccolo a passeggio per non intralciare. Facevamo di tutto per non essere dimpiccio.
Poi, arrivò la telefonata. Era lei, mia nuora. Con una voce bassa, quasi distaccata, mi disse:
“Potreste occuparvi del bambino oggi? Devo uscire di corsa.”
Non chiese comunicò e basta. Come se noi avessimo più bisogno di quel momento di lei. Come se lavessimo supplicata di concedercelo. Eppure, non molto tempo prima, mi aveva pregato di non presentarmi più
Riflettei a lungo su cosa fare. Lorgoglio mi sussurrava: “Di di no.” Ma la ragione mi diceva: “È la tua occasione.” Non per lei per il nipotino. Per Marco. Per la pace in famiglia. Ma risposi diversamente:
“Portalo da noi, piuttosto. Volevi che non venissimo senza invito. Non voglio invadere il vostro spazio.”
Tacque. Poi, dopo qualche secondo, accettò. Portò il bambino. E per me e mio marito fu come una festa. Giocammo, ridemmo, facemmo una passeggiata le ore volarono. Che gioia essere nonni! Ma dentro di me rimase unamarezza. Non sapevo più come comportarmi.
Dovevo mantenere le distanze? Aspettare che fosse lei a fare il primo passo? O essere saggia e superare il rancore? Per mio nipote, avrei fatto qualsiasi cosa. Pronta a perdonare, a dimenticare le parole che mi avevano ferito. Pronta a riprovarci.
Ma volevano davvero che ci fossi? Lo voleva lei?
Non so se capisca quanto sia facile distruggere qualcosa che ha impiegato anni a crescere. E quanto sia difficile riaggiustarlo, mattone dopo mattone





