Mia Sorella Ha Rinunciato alla Figlia Adottiva Dopo la Nascita del Figlio Biologico — Ma il Destino Era Già Pronto a Bussare

L’amore non dovrebbe avere condizioni. Ma per mia sorella, ne aveva. Senza un grammo di rimorso, abbandonò sua figlia adottiva dopo aver avuto un figlio biologico. Mentre cercavo di capire tanta crudeltà, si limitò a scrollare le spalle e dire: «Non era davvero mia, comunque». Ma il destino era già alla sua porta.

Ci sono momenti che ti spezzano, ti aprono il petto e ti lasciano senza fiato. Per me, furono quattro semplici parole pronunciate da mia sorella sulla sua figlia adottiva di quattro anni: «L’ho rimandata indietro».

Non vedevamo mia sorella Francesca da mesi. Viveva a qualche regione di distanza, e con la sua gravidanza, le avevamo dato spazio. Ma quando diede alla luce un maschietto, tutta la famiglia decise di andare a trovarli. Volevamo festeggiare.

Riempii l’auto di regali impacchettati con cura e di un orsacchiotto speciale per Sofia, la mia figlioccia di quattro anni.

Quando arrivammo alla casa in periferia di Francesca, notai che il giardino sembrava diverso. Lo scivolo di plastica che adorava Sofia era sparito. Così come il suo piccolo orto di girasoli che avevamo piantato insieme l’estate scorsa.

Francesca aprì la porta, cullando un fagottino tra le braccia. «Eccolo, questo è Matteo!» annunciò, voltando il bambino verso di noi.

Tutti sorridemmo affettuosamente. Mamma lo prese subito in braccio, e papà iniziò a scattare foto. Io mi guardai intorno in salotto, notando che ogni traccia di Sofia era scomparsa. Nessuna foto alle pareti. Nessun giocattolo sparso. Nessun disegno a matita.

«Dov’è Sofia?» chiesi, sorridendo, ancora con il suo regalo in mano.

Appena pronunciai il suo nome, il volto di Francesca si irrigidì. Scambiò un’occhiata veloce con il suo compagno, Luca, che improvvisamente si interessò molto al termostato.

Poi, senza vergogna, disse: «Oh! L’ho rimandata indietro».

«Cosa intendi con “rimandata indietro”?» domandai, certa di aver capito male.

Mamma smise di cullare Matteo, e papà abbassò la macchina fotografica. Il silenzio sembrò cemento che si induriva ai miei piedi.

«Sai che ho sempre voluto un figlio maschio» sospirò Francesca, come se stesse spiegando l’ovvio. «Ora ho Matteo. Perché dovrei aver bisogno di una figlia? E poi, Sofia era adottata. Non mi serve più».

«L’HAI RIMANDATA INDIETRO?!» urlai, lasciando cadere il pacco con il regalo. «Non è un giocattolo da restituire al negozio, Francesca! È una bambina!»

Lei roteò gli occhi. «Calmati, Elena. Non era davvero mia, comunque. Non è come se avessi abbandonato un figlio mio. Era solo… temporanea».

Quella parola mi colpì come uno schiaffo. Temporanea? Come se Sofia non fosse stata altro che un riempitivo finché non arrivasse «quello vero».

«TEMPORANEA?» ripetei, alzando la voce. «Quella bimba ti ha chiamata “mamma” per due anni!»

«Be’, può chiamare così qualcun altro adesso».

«Come fai a dirlo, Francesca? Come fai anche solo a pensarlo?»

«Stai facendo di questa cosa un dramma» sbottò. «Ho fatto ciò che era meglio per tutti».

Pensai a tutte le volte in cui avevo visto Francesca con Sofia: leggerele storie, pettinarle i capelli, dire a chiunque volesse ascoltare che era sua figlia. Quante volte l’avevo sentita dire: «Non è il sangue a fare una famiglia, ma l’amore».

«Cos’è cambiato?» chiesi fermamente. «Hai combattuto per lei. Hai affrontato montagne di pratiche burocratiche. Hai pianto quando l’adozione è stata finalizzata».

«Quello era prima» disse con tono sprezzante. «Le cose sono diverse ora».

«Diverse come? Perché ora hai miracolosamente un figlio “vero”? Che messaggio gli dai, a Sofia?»

«Ascolta, Elena, stai esagerando. Volevo bene a Sofia… lo ammetto. Ma ora che il mio figlio biologico è qui, non voglio dividere quell’amore. Lui ha bisogno di tutte le mie cure e attenzioni. Sono sicura che Sofia troverà un’altra famiglia».

Fu allora che qualcosa dentro di me si spezzò. Sofia non era solo figlia di Francesca. Era anche mia, in un certo senso. Ero la sua madrina. L’avevo cullata quando piangeva. L’avevo addormentata tra le mie braccia.

Per anni avevo sognato di essere madre. Ma la vita era stata crudele. Avevo avuto aborto dopo aborto, ognuno dei quali mi aveva portato via un pezzo, lasciando un vuoto che Sofia aveva riempito con le sue risate, le sue manine che cercavano le mie, la sua vocina che mi chiamava «zia Elena».

E Francesca l’aveva gettata via come se non valesse nulla. Come poteva?

«L’hai tenuta tra le braccia, l’hai chiamata tua figlia, le hai permesso di chiamarti mamma, e poi l’hai scartata nel momento in cui hai avuto il tuo bambino “vero”?»

Francesca sbuffò, cullando Matteo che iniziava a piagnucolare. «Prima era una bambina in affido. Sapeva che poteva succedere».

Sentii le mani tremarmi. «Francesca, ha QUATTRO ANNI. Tu eri il suo mondo».

Finalmente Luca intervenne. «Senti, non è stata una decisione presa a cuor leggero. Matteo ha bisogno di tutta la nostra attenzione».

«Pensi che abbandonarla sia stato giusto?» chiesi incredula.

«L’agenzia l’ha affidata a una buona famiglia» borbottò Luca. «Starà bene».

Prima che potessi rispondere, sentimmo bussare alla porta. Se solo avessi saputo che il destino aveva già bussato. Luca andò ad aprire. Da dove ero, vidi due persone sul portico, un uomo e una donna in abiti professionali.

«Signora Francesca?» chiese la donna, mostrando un tesserino.

«Sono Laura e questo è il mio collega, Marco. Siamo dei Servizi Sociali. Dobbiamo parlarle riguardo a delle preoccupazioni che ci sono state segnalate».

Francesca batté le palpebre, il volto che impallidiva. «Servizi Sociali? Ma… perché?»

«Abbiamo delle domande sul suo processo di adozione e sulla sua capacità di garantire un ambiente stabile per suo figlio».

Francesca strinse Matteo più forte. «Mio figlio? Che c’entra lui?»

Gli assistenti sociali entrarono e sedettero al tavolo da pranzo.

«Abbiamo motivo di credere che abbia accelerato il processo di revoca dell’adozione senza seguire le necessarie consulenze prima di rinunciare alla custodia di sua figlia, Sofia», disse Laura.

Francesca si voltò verso di noi, gli occhi sgranati, cercando sostegno. Non lo trovò.

«Questo… è ridicolo» balbettò. «Ho seguito tutte le procedure legali!»

Marco sfogliò i suoi appunti. «La sua vicina ha segnalato che ha rinunciato a una bambina adottata legalmente pochi giorni dopo il parto, senza alcun piano di transizione. Questo solleva dubbi sulla sua affidabilità come genitore».

Fu allora che mi ricordai della lunga rivalità di Francesca con la vicina, la signora Bianchi, che aveva sempre adorato Sofia. Vidi la sicurezza di mia sorella crollare.

«Aspetti… non state dicendo…»

«Signora, dobbiamo assicurarci che il suo attuale figlio si trovi in«In un ambiente sicuro» continuò Marco, mentre Laura aggiunse con fermezza: «Se la situazione non migliorerà, potremmo essere costretti a rivalutare la custodia di Matteo», lasciando Francesca senza fiato, mentre io stringevo tra le mani la foto di Sofia, determinata a riportarla a casa dove sarebbe stata amata per sempre.

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