Mia suocera pretendeva aiuto ogni weekend finché non ho detto basta. Non sono una domestica, e nessuno decide il mio tempo.
Fin dallinizio del mio matrimonio, ho fatto di tutto per andare daccordo con mia suocera. Per otto anni, ho stretto i denti e cercato di vedere il bicchiere mezzo pieno. Da quando io e mio marito abbiamo lasciato la campagna per trasferirci a Milano, sua madre Rosaria Mancini ci chiamava ogni settimana. Sempre la stessa frase: «Venite questo weekend, abbiamo bisogno di aiuto!» A volte per sistemare le patate, altre per zappare lorto, o per aiutare sua figlia minore a tappezzare la parete. E ogni volta, ci andavamo. Come burattini.
Eppure, non ho più ventanni, e la mia vita non è una passeggiata tranquilla. Lavoro cinque giorni su sette, cresco due figli, gestisco la casa. Anche io ho diritto a una pausa almeno una domenica per respirare.
Ma per Rosaria, eravamo manodopera gratis. Al minimo accenno di stanchezza, lei ribatteva: «E chi lo fa, se non tu?» Va bene. Ma non cera mai una vera urgenza. Una volta mi ha chiesto di non andare da lei solo per mandarmi da sua figlia, Simona, a ridipingere il salotto. Ci sono andata, come una ragazzina ingenua. E indovinate? Mentre io correvo con metro e pennello, quella “principessa” di Simona si rilassava davanti allo specchio, ammirando la nuova manicure e preparandosi lennesima tazza di tè.
Mio marito vedeva tutto. Non era stupido, capiva che ci approfittavano. Ma non apriva mai bocca era sua madre, dopotutto. Così ho stretto i denti. Fino al giorno in cui
Un sabato, ho semplicemente smesso di andare con lui da lei. Senza drammi. Senza spiegazioni. Sono rimasta a casa, dicendo di avere altri progetti.
Naturalmente, a Rosaria non era piaciuto. Ha subito chiesto a suo figlio perché ero improvvisamente così “ingrata”? Mio marito mi ha supplicato di andare, «almeno per farle piacere». Ma ne avevo abbastanza di quella farsa.
Avevo trentacinque anni. Il diritto di riposarmi, non di servire chi non si sforza neanche di alzare un dito. Da loro non vedevo gratitudine, né rispetto. Solo pretese.
Quel weekend, finalmente mi sono presa cura di casa mia. Ho lavato la pila di vestiti, cucinato un pasto decente, e la domenica mi sono concessa un libro, stesa sul divano. Una pura felicità. Finché non hanno suonato alla porta.
Simona.
Senza un buongiorno, senza la minima educazione, mi ha vomitato addosso la sua rabbia: ero egoista, maleducata, una traditrice della famiglia. Mi ha ricordato il mio “dovere” visto che ne facevo parte.
Lho ascoltata, le ho augurato una buona giornata, e ho chiuso la porta.
Ma non finì lì. Quella sera stessa, Rosaria è piombata da me. Appena entrata, mi ha accusato di ingratitudine, di disprezzo mentre lei aveva “dato tutto”. La guardavo, e tutte quelle ore passate a cucinare, pulire, zappare mi sono tornate in mente.
E lì, davanti a me, aveva il coraggio di farmi la morale.
Era troppo.
Senza dire una parola, ho aperto la porta e le ho mostrato luscita. Stupefatta, ha borbottato qualcosa prima di andarsene. Sono tornata al mio libro, e per la prima volta dopo anni ho respirato.
Non era rabbia. Era libertà. La certezza che il mio tempo apparteneva solo a me. E se dovevo qualcosa era a me stessa, e ai miei figli.
Quella notte, mi sono addormentata col cuore leggero. Finalmente libera.