«Mio figlio è un caos; mia nuora è il suo riflesso. Sono stanca di vivere nel loro disordine.»
Mio figlio è diventato un disastro; mia nuora lo specchio dei suoi errori. Sono esausta, soffocata da questo vortice di sporcizia.
Non credevo di poterlo ammettere, ma ora basta. Sono stufa dei piatti sporchi, del pavimento che non vede una scopa da settimane, di quellodore rancido di cibo vecchio. È come vivere con coinquilini maleducati, non nella mia stessa casa. E tutto per colpa di mio figlio e del suo amore, che da due mesi si comportano come fossero in vacanza.
Marco ha ventanni. Studia alluniversità telematica, ha finito il servizio civile e ha trovato subito lavoro. Un adulto, in teoriaautonomo, contribuisce alle spese, non sta con le mani in mano. Ero fiera di lui. Fino a quella maledetta conversazione.
«Mammami disse un giornoper Giulia è difficile a casa sua. I suoi genitori litigano, lanciano oggetti, non riesce nemmeno a studiare in pace. Può restare qui un po, finché non si calmano? Non daremo fastidio.»
Mi fece pena. Lavevo vista primatimida, educata, lo sguardo basso e la voce flebile. Come dirle di no? In più, Marco ha la sua stanza, cè spazio. Ma non immaginavo il dono che sarebbe stato.
Le prime settimane, fecero qualche sforzo: piatti lavati, pavimento spazzato, silenzio. Addirittura organizzammo un piano: sabato loro, mercoledì io. Pensai che forse fossero maturati. Dopo tre settimane, tutto crollò.
Piatti sporchi, incrostati di cibo secco, ammucchiati nel lavandino per giorni. Capelli e involucri ovunque. Il bagno? Macchie di shampoo, peli nello scarico, sapone ovunque. La loro camera sembrava una tana: vestiti a terra, briciole sul comodino, letto disfatto. Giulia passeggia con la maschera sul viso e il telefono in mano, come fosse in un centro benessere, non nella mia casa.
Provai a parlare, a chiedere, a ricordare. Sempre la stessa risposta: «Non abbiamo avuto tempo, lo faremo dopo.» Ma quel dopo non arrivava mai. Iniziai a mettergli lo straccio e i detersivi direttamente in manosenza parole, in silenzio. Nemmeno quello bastò. Una volta versarono sugo sulla tovaglia e non la pulirono. Semplicemente se ne andarono. E, ancora una volta, toccò a me.
Quando entrai nella loro stanza e vidi quel disastro, non riuscii a trattenermi:
«Non vi dà fastidio vivere così?»
Marco, senza battere ciglio, rispose:
«I geni dominano il caos.»
Ma io in quel caos non vedo geni. Solo due adulti che approfittano, vivono come maiali e si aspettano che la madre faccia da domestica.
Marco promise di collaborarespese, bollette. In realtà, paga solo le utenze. La spesa, una volta a settimana, ma le consegne di sushi, pizza e schifezze sono quasi quotidiane. Me ne offrono, ma non mi consolail frigo è sempre vuoto. Con quei soldi, potremmo sfamare tutta la famiglia.
Giulia non lavora, studia. Ha una borsa di studio, ma non ha messo un euro né nel cibo né nelle pulizie. Tutto speso in sciocchezze. Quando suggerii di dividere le spese, almeno un minimo, scrollò le spalle, offesa.
Ho cresciuto Marco da sola. Suo padre se nè andato prima che nascesse. I miei genitori mi aiutarono, lavorai il doppio, risparmiai, feci tutto per lui. Non gli ho mai rimproverato nulla. E non voglio iniziare ora. Ma vedere la mia casa ridotta a un porcile è troppo.
Ho provato a parlare con calma. Una, due, tre volte. Ora è chiaro: non cambieranno. Credono sia solo una vecchia lamentosa, che dovrebbe essere felice di essere tollerata sotto il loro stesso tetto.
Due mesi ho resistito. Ma ora basta. Glielo dirò chiaro: o si svegliano, o vanno in un residence per studenti. Lì, forse, capiranno cosa significa rispettare il lavoro altrui e lo spazio degli altri.
Perché sono stufa di fare da badante. Voglio vivere in pace, senza stress, senza piatti sporchi fino al soffitto e calzini abbandonati in cucina.
E voi? Cosa fareste? Dovrei rischiare di litigare con mio figlio? O continuare a chiudere gli occhi su questo disastro, in una casa che ho costruito con le mie stesse mani?