«Mio figlio ha detto che non c’è più posto per me nella sua vita. Come siamo arrivati a questo?»

Era un sabato come tanti. Una mattina tranquilla, il bollitore sul fuoco, il sole che filtrava pigramente attraverso le tende. Ero seduta al tavolo della cucina, come sempre, con una tazza di caffè forte, quando squillò il telefono. Sul display: mio figlio, Luca. L’unico. La mia luce, il mio orgoglio, la mia anima. Tutto nella mia vita ruotava intorno a lui. Gli avevo dato tutto: amore, cura, notti insonni, gli ultimi euro dal portafoglio. Dopo il suo matrimonio, le chiamate si erano fatte rare, ma ognuna era come un respiro.

“Mamma, dobbiamo parlare,” iniziò lui. La sua voce era controllata. Fredda. Insolita.

Qualcosa dentro di me si strinse.

“Certo, figlio mio. Che succede?” chiesi, già sentendo il cuore battere più forte.

Rimase in silenzio per qualche secondo, poi, come se stesse raccogliendo il coraggio, disse:

“Mamma, io e Giulia… Abbiamo deciso che devi capire: non possiamo più vederci così spesso.”

Non capii subito. O forse non volli capire. E lui continuò:

“Abbiamo la nostra vita, i nostri progetti, le nostre preoccupazioni. E tu… ti intrometti troppo. Giulia dice che chiami troppo. Arrivi senza preavviso. Siamo stanchi. Ci serve spazio. Pace.”

Rimasi seduta in silenzio, incapace di dire una parola. E nella mia mente risuonava solo una domanda: Cosa ho sbagliato?

“Luca…” sussurrai. “Volevo solo esserti vicina. Non… non era per male. Mi manchi.”

“Lo so, mamma,” mi interruppe. “Ma ora è diverso. Vogliamo vivere la nostra vita. Ci serve… allontanarci. Capisci?”

Annuii, anche se lui non poteva vedermi. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Le mani tremavano. Riuscii a dire:

“Va bene. Ho capito.”

La chiamata finì in fretta. Si congedò con calma, quasi con sollievo. Io rimasi lì, nella stessa cucina, con la stessa tazza ormai fredda.

Mi girai verso il muro dove pendevano vecchie foto. Eccolo, Luca da bambino, al primo giorno di scuola. Poi alla maturità. E ancora, con un mazzo di fiori, accanto a Giulia in municipio. E in tutte quelle foto, c’ero io. Sempre accanto a lui. Sempre.

Ripensai a quando lo tenevo in braccio durante la febbre. Alle notti passate a leggergli storie. Ai compiti, all’università, al primo cuore spezzato. E ora, quando nella mia vita c’era solo lui, mi diceva che non c’era più posto per me.

Sempre più, mi sembra che la vecchiaia non sia questione d’età, ma di sentirsi inutili. Di vedere chi un tempo hai sostenuto, guardarti ora come un peso. Come un’ombra del passato da tagliare fuori dalla nuova vita felice.

Le mie amiche mi parlano dei nipoti, delle cene in famiglia, dei consigli che i figli chiedono loro. E io? Ho paura di chiamare. Paura di sentire l’irritazione nella sua voce. Paura di essere di nuovo “troppo invadente”. Che ripetano: “Siamo stanchi di te.”

Ma la cosa più amara è che non chiedevo molto. Non volevo soldi, né aiuti. Solo esserci, ogni tanto. Vedere come viveva mio figlio. Cucinargli una torta, chiedergli come andava. Era davvero troppo?

Non sono una santa. Forse chiamavo troppo. Forse ero troppo emotiva. Mi mancava solo. Un appartamento vuoto, la tv in cucina e qualche vecchia foto: ecco la mia vita adesso.

Sono passate settimane. Luca non ha chiamato. Né lui, né Giulia. Io, come promesso, non li disturbo. Vivo nel mio silenzio. Guardo fuori dalla finestra e penso: forse, questo è il finale dell’amore che gli ho dato? Così improvviso e gelido?

Mi brucia. Ma non sono arrabbiata. Non gli auguro male. Solo non capisco come sia possibile che l’unica persona per cui ho vissuto, ora voglia che io sparisca.

E sapete qual è la cosa più terribile? Non il vuoto in casa. Non il silenzio. Ma realizzare che nella vita di chi eri tutto, ora non sei più nulla.

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