«Mio figlio ha detto che non c’è più posto per me nella sua vita. Come siamo arrivati a questo?»
Era un normale sabato. Una mattinata tranquilla, il bollitore sul fuoco, il sole che filtrava pigramente tra le tende. Ero seduta al tavolo della cucina, come sempre, con una tazza di caffè forte, quando è suonato il telefono. Sullo schermo, c’era mio figlio, Matteo. L’unico. La mia luce, il mio orgoglio, la mia anima. Tutto nella mia vita girava intorno a lui. Gli ho dato tutto: amore, cura, notti insonni, gli ultimi soldi dal portafoglio. Dopo il suo matrimonio, le chiamate erano diventate rare, ma ognuna era come un sorso d’aria.
«Mamma, dobbiamo parlare», ha iniziato. La voce era controllata. Fredda. Insolita.
Qualcosa dentro di me si è stretto.
«Certo, Matteo. Che succede?» ho chiesto, già sentendo che il cuore batteva più forte.
È rimasto in silenzio per un attimo, poi, come per prendere coraggio, ha detto:
«Mamma, io e Giulia… Abbiamo deciso che devi capire: non possiamo più vederci così spesso.»
Non ho capito subito. O forse non ho voluto capire. E lui ha continuato:
«Abbiamo la nostra vita, i nostri progetti, le nostre preoccupazioni. E tu… ti intrometti troppo. Giulia dice che chiami troppo. Vieni senza avvisare. Siamo stanchi. Ci serve spazio. Tranquillità.»
Ero seduta in silenzio, incapace di dire una parola. E nella testa risuonava solo una domanda: Cosa ho sbagliato?
«Matteo…» ho sussurrato. «Volevo solo esserti vicina. Non… non per fare male. Mi manchi.»
«Lo so, mamma», mi ha interrotto. «Ma ora è diverso. Vogliamo vivere la nostra vita. Dobbiamo… distaccarci. Capisci?»
Ho annuito, anche se lui non poteva vederlo. Gli occhi pieni di lacrime. Le mani che tremavano. Ho tirato fuori a fatica:
«Va bene. Ho capito.»
La chiamata è finita in fretta. Si è congedato con calma, forse addirittura sollevato. E io sono rimasta lì, seduta nello stesso posto, nella stessa cucina, con la stessa tazza in cui il caffè era ormai freddo.
Mi sono girata verso il muro, dove erano appese le vecchie foto. Ecco Matteo, ancora piccolo, alla prima elementare. Ecco lui al diploma. E un’altra con un mazzo di fiori, accanto a Giulia in municipio. E in tutte quelle foto, c’ero io. Sempre accanto a lui. Sempre.
Mi è tornato in mente quando lo tenevo in braccio mentre aveva la febbre. Le notti passate a leggergli storie. Come l’ho aiutato con la scuola, con l’università, come l’ho sostenuto dopo il primo amore finito male. E ora, che nella mia vita era rimasto solo lui, lui mi diceva che non c’era più posto per me.
Sembra sempre più che la vecchiaia non sia una questione di anni, ma di sentirsi inutili. Di vedere le persone che un tempo hai aiutato a rialzarsi, guardarti ora come un ostacolo. Come un’ombra del passato che vorrebbero cancellare dalla loro nuova vita felice.
I miei amici mi raccontano dei nipoti che accudiscono, delle cene con i figli, dei consigli che si scambiano. E io? Ho paura di chiamare. Paura di sentire l’irritazione nella sua voce. Paura di essere di nuovo “troppo invadente”. Che mi ripetano: «Siamo stanchi di te».
Ma la cosa più amara è che non chiedevo tanto. Non volevo soldi, né aiuto. Solo poter esserci, ogni tanto. Vedere come vive mio figlio. Preparargli una torta, chiedergli come sta. Davvero è troppo?
Non sono una santa. Forse chiamavo troppo. Magari ero emotiva. Ma mi mancava. Un appartamento vuoto, la televisione in cucina e qualche vecchia foto: ecco la mia vita adesso.
Sono passate settimane. Matteo non ha chiamato. Né lui, né Giulia. Io, come promesso, non li disturbo. Vivo nel mio silenzio. Guardo fuori dalla finestra e penso: sarà questo il finale dell’amore che ho dato? Così improvviso, e così freddo?
Fa male. Ma non mi arrabbio. Non li maledico. Solo non capisco come sia possibile che l’unica persona per cui ho vissuto, ora voglia che io sparisca.
E sapete qual è la cosa più terribile? Non il vuoto in casa. Non il silenzio. Ma rendersi conto che nella vita di chi per te era tutto, ora non sei più nessuno.