Oggi è il mio compleanno, e non avrei mai immaginato una giornata così amara. Qui, in un paesino della Sicilia, dove le case color pastello conservano i ricordi delle nostre vite, ho compiuto quarant’anni. Un traguardo che sognavo pieno di affetto, ma tutto ciò che ho ricevuto è stato l’indifferenza di chi amo di più.
Da sempre dedico ogni respiro a mio marito, Matteo, e ai nostri figli: Luca, sedici anni, e Marco, quattordici. Per mesi mi sono preparata a questo giorno: ho perso peso, comprato un vestito nuovo, persino iniziato un corso di ceramica per sentirmi viva. Volevo che fosse speciale, un nuovo inizio. Ma il destino ha deciso diversamente.
La mattina è iniziata nel silenzio. Matteo è uscito di fretta, dicendo solo: «Ci vediamo stasera». I ragazzi hanno ingoiato la colazione senza alzare lo sguardo dai cellulari. Nessun «buongiorno», nessun «auguri». Ho cercato di convincermi: forse stanno organizzando una sorpresa? Ho passato il giorno a pulire, a preparare una torta al cioccolato, a apparecchiare la tavola con cura. Ogni minuto che passava, però, il dubbio cresceva. Davvero si erano dimenticati?
A pranzo non ho resistito. «Oggi è un giorno importante, vero?» ho chiesto a Luca. Lui ha annuito distratto ed è sparito in camera sua. Marco non ha nemmeno alzato la testa. Quando Matteo ha chiamato, ha parlato solo di lavoro. Niente di me. Il cuore mi si stringeva, ma speravo ancora. Ho decorato il salotto con palloncini, indossato il vestito nuovo e aspettato.
Quando Matteo è tornato, ha guardato la tavola imbandita e ha chiesto: «Abbiamo ospiti?» Ho sentito il gelo. «Matteo, oggi compio quarant’anni», ho sussurrato, trattenendo le lacrime. Lui si è battuto la fronte. «Mannaggia, scusami! Con la riunione ho perso la testa.» Le sue scuse suonavano vuote. I ragazzi hanno borbottato: «Auguri, mamma», e sono tornati ai loro schermi. Niente regali, niente abbracci. Mi ero cancellata dai loro pensieri.
Seduta davanti alla torta intatta, sentivo tutto crollare dentro di me. Ho dato loro la mia vita, rinunciato a ogni sogno, e in cambio nemmeno un fiore. Mi sono ritirata in camera, lasciando che il dolore mi sommergesse. Perché mi sentivo così sola nella mia stessa casa?
Poi, il colpo finale. Qualcuno ha bussato alla porta. Era una donna che non avevo mai visto. «Sono Giulia, collega di Matteo», ha detto. «Ha dimenticato questi documenti.» Mi ha passato una cartella, ma il suo sguardo era pieno di pietà. «Buon compleanno, a proposa. Matteo ha detto che non festeggiate…»
Il mondo mi è crollato addosso. Non solo si era dimenticato, ma aveva persino detto agli altri che non contava nulla. Giulia se n’è andata, e io sono rimasta con quella verità che bruciava più del silenzio.
Sono tornata in salotto, dove Matteo guardava la partita e i ragazzi giocavano alla playstation. «Perché hai detto alla tua collega che non festeggiavo?» gli ho chiesto, la voce spezzata. Lui ha scrollato le spalle. «Daniela, non è il momento di fare storie. Domani ci penseremo.» I ragazzi hanno abbassato lo sguardo. Nessuno ha parlato.
Ho pianto tutta la notte. La mia famiglia, per cui ho vissuto, mi ha mostrato quanto valgo. La vicina, venuta a consolarmi, mi ha detto: «Fatti una festa da sola, te la meriti.» Ma le sue parole non hanno lenito il dolore.
Adesso non so cosa fare. Perdonare? Fare finta di nulla? O trovare la forza di amarmi, anche se loro non lo fanno? Questo compleanno non è stato una festa, ma una lezione: anche chi ti è più vicino può voltarti le spalle. E io devo imparare a stare in piedi, da sola, per me stessa.