Mio marito mi ha abbandonato in un borgo antico con tre figli, e una settimana dopo ho scoperto qualcosa che mi ha cambiato la vita per sempre

**”Mio marito mi ha gettata in un vecchio villaggio con tre figli, e una settimana dopo ho trovato qualcosa che mi ha cambiato la vita per sempre”**

“Che cosa hai detto?” Luisa si bloccò, sentendo un brivido gelido dentro di sé. Marco era sulla porta, stringendo con forza un mazzo di chiavi. Il suo volto, solitamente allegro, era irrigidito in una maschera di irritazione.

“Non posso più vivere così,” ripeté con un tono privo di emozione. “Né io, né mia madre. Prendi i bambini e vai a Sant’Elia. La casa della nonna è ancora in piedi, il tetto tiene. Vi sistemerete in qualche modo.”

Luisa lo fissò come se fosse un estraneo. Dieci anni di vita insieme, tre figlie questa sentenza. Un paesino moribondo, dove restavano solo poche case, senza negozi e con strade dissestate.

“Perché…” iniziò, ma lui la interruppe.

“Perché sono stanco,” Marco distolse lo sguardo. “Delle continue lamentele, dei piagnistei, di te che stai solo a casa con i bambini. Mamma ha ragione: sei diventata una chioccia. Non riconosco più la donna che ho sposato.”

Le lacrime le salirono in gola, ma Luisa le trattenne. Dietro la parete dormivano i bambiniSofia e Matteo, mentre il maggiore, Leonardo, probabilmente aveva sentito tutto.

“Dove lavorerò? Di cosa vivremo?” la sua voce era appena un sussurro. Marco gettò una busta sul tavolo.

“Ci sono dei soldi per il primo periodo. E i documenti della casaè da tempo intestata a te. Se sei così indipendente, dimostralo ora.”

Si voltò e, senza aggiungere altro, lasciò la stanza. Un minuto dopo, la porta dingresso sbatté.

Luisa affondò lentamente sulla sedia. Un ricordo assurdo le attraversò la mente: *”Ho preparato la sua crostata di mele preferita. Per colazione.”*

La casa li accolse con un freddo umido. Luisa entrò, tenendo in braccio Sofia assonnata, e sentì il cuore stringersi. Qui era cresciutaestati dalla nonna, il profumo del pane fresco, le erbe aromatiche nella soffitta, le mele in cantina. Ora cerano solo polvere, ragnatele e un senso di abbandono.

Leonardo, serio oltre i suoi anni, aprì le imposte. Attraverso i vetri sporchi, i raggi del sole di aprile illuminarono i granelli di polvere sospesi nellaria.

“Fa freddo qui,” si lamentò Matteo, avvolgendosi le braccia attorno al corpo.

“Accenderemo la stufa, si scalderà,” disse Luisa, cercando di sembrare sicura. “Leo, mi dai una mano?” Il ragazzo annuì, senza guardarla. Era rimasto in silenzio per tutto il viaggio, da quando aveva sentito lultima discussione dei genitori.

Fortunatamente, la vecchia stufa funzionava ancora. Mentre le fiamme lambivano i ceppi di quercia e la stanza si riempiva di calore, Luisa si sentì un po più serena.

“Mamma, resteremo qui a lungo?” chiese Matteo, osservando le vecchie fotografie alle pareti.

“Non lo so, tesoro,” rispose con sincerità. “Prima ci sistemiamo, poi decideremo.”

Passarono la prima notte tutti insieme nel grande letto della nonna. I bambini crollarono addormentati, sfiniti dal viaggio. Luisa rimase sveglia, fissando il soffitto, chiedendosi come fosse finita lì.

La mattina seguente, liberandosi dallabbraccio dei figli, uscì in cortile. Lorto era invaso dalle erbacce. I meli, un tempo rigogliosi, ora erano scheletrici, con i rami spezzati. Il vecchio granaio stava per crollare, e il pozzo era ricoperto di muschio.

Luisa osservò il suo nuovo regno e, senza volerlo, rise amaramente. Ecco la sua eredità. Il suo nuovo inizio.

I primi giorni a Sant’Elia sembrarono un incubo. Ogni mattina si svegliava sperando di ritrovarsi nellappartamento, di sentire il rumore della macchinetta del caffè e la voce di Marco.

“Mamma, quando viene papà a prenderci?” chiese Sofia, abituata alle passeggiate domenicali con lui.

“Presto, piccola,” rispose Luisa, senza sapere come spiegare ciò che nemmeno lei capiva.

Il telefono restava muto. Marco ignorava le sue chiamate. Una volta arrivò un messaggio: *”Avete tutto ciò che vi serve. Datemi tempo.”*

Tempo. Di cosa aveva bisogno? Di rendersi conto quanto fosse brutto vivere senza di loro? O, al contrario, di cancellarli dalla sua vita?

Alla fine della prima settimana, era chiaro che i soldi lasciati da Marco non sarebbero durati a lungo. La stufa aveva bisogno di riparazioni, il tetto perdeva, e il cibo andava comprato. Ma la scoperta peggiore fu che nel villaggio non cera lavoro.

“Forse dovreste tornare in città?” suggerì la vicina, una delle poche rimaste a Sant’Elia.

Luisa scosse la testa: “Non cè un posto dove tornare. Qui almeno abbiamo un tetto.”

Quel giorno decise di ripulire lorto. La terra, trascurata per anni, era soffocata dalle erbacce, ma Luisa ricordava quanto fosse generoso il giardino della nonna.

“Leo, mi aiuti?” chiese al maggiore. Il ragazzo annuì, ancora taciturno.

Lavorarono insieme, strappando radici e rompendo le zolle indurite. Le mani, abituate alle faccende domestiche e alla tastiera del computer, si riempirono presto di calli. Alla sera, le facevano male la schiena e le spalle, come prese da una morsa. Ma avevano ripulito solo un piccolo pezzo di terra.

“Mamma,” improvvisamente Leonardo ruppe il silenzio. “Perché lo stiamo facendo?”

“Per piantare verdure: patate, carote, pomodori,” iniziò a spiegare.

“No, intendo unaltra cosa,” lo interruppe. “Perché siamo qui? Perché non torniamo a casa? Cosè successo tra te e papà?”

Luisa si raddrizzò, asciugandosi il sudore con il dorso della mano. Come spiegare la verità a un bambino? Ammettere che suo padre li aveva abbandonati? Parlargli delle critiche della suocera, che laveva sempre considerata indegna di suo figlio? O confessare che forse cera unaltra donna?

“Abbiamo bisogno di tempo per capire,” rispose con cautela. “A volte gli adulti devono stare separati per…”

“…per capire se si amano ancora,” completò Leonardo. La sua voce era carica di unamarezza troppo matura per la sua età. “È per quella signora? Quella che cera alla festa?”

Luisa si bloccò. Valentinaalta, elegante, la collega di Marco. *”Solo una collega,”* aveva detto quando lei aveva sospettato dei suoi ritardi.

“Forse,” ammisse. “Ma ricorda: tuo padre vi ama. E io… farò di tutto per rendere questa vita migliore, anche qui.”

Leonardo la fissò, poi allimprovviso le si avvicinò e labbracciò. Il suo gesto era forte, quasi virile.

“Ce la faremo, mamma,” disse con sicurezza. “Io e te. E cresceremo anche i piccoli.”

Quella notte, dopo che i bambini si addormentarono, Luisa rimase a lungo alla finestra, guardando le stellegrandi, luminose, così diverse da quelle in città. Per la prima volta da quando era arrivata a Sant’Elia, non sentì disperazione, ma una strana pace interiore. Come se la terra sotto quella vecchia casa le stesse donando forza.

Da quel giorno lavorò ogni giorno

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