Tornavo dal lavoro, stanca morta come al solito, persa nei pensieri su cosa cucinare per cena e sulla riunione del giorno dopo. All’improvviso, sento una voce dietro di me:
“Scusi! Elena Rossi?”
Mi giro e vedo una ragazza giovane con un bambino di circa sei anni. Sembrava insicura nel tono, ma il suo sguardo era deciso.
“Mi chiamo Sofia,” dice. “E questo è suo nipote, Matteo. Ha già sei anni.”
Prima penso sia uno scherzo di cattivo gusto. Non li avevo mai visti prima. La sorpresa mi fa girare la testa.
“Scusi, ma… deve esserci un errore,” riesco a balbettare.
Sofia continua, sicura di sé:
“No, non sbaglio. Suo figlio è il padre di Matteo. Ho tenuto il silenzio a lungo, ma credo che lei abbia il diritto di sapere. Non chiedo niente. Ecco il mio numero. Se vuole conoscerlo, mi chiami.”
E lasciandomi senza parole, se ne va. Rimango immobile sul marciapiede, stringendo quel foglietto tra le dita, il cuore in gola. Corro a chiamare Luca, il mio unico figlio.
“Luca, hai mai avuto a che fare con una certa Sofia? Hai un figlio?”
“Mamma, dai… è stata una cosa breve. Era strana, poi ha detto di essere incinta. Non so se fosse vero. Poi è sparita. Dubito che quel bambino sia mio.”
Le sue parole mi turbano. Da una parte, ho sempre creduto in lui. L’ho cresciuto da sola, facendo due lavori per dargli una vita migliore. È diventato un professionista rispettato, ma non ha mai messo su famiglia. Gli ho sempre parlato di avere figli, sognando di diventare nonna. E ora, all’improvviso, compare un nipote dal nulla.
Il giorno dopo, chiamo Sofia. Lei non sembra sorpresa.
“Matteo ha sei anni. È nato ad aprile. No, non farò nessun test. So chi è suo padre. Ci siamo lasciati quando ero incinta. Non ho contattato Luca prima perché me la sono cavata da sola. I miei genitori mi aiutano. Stiamo bene. Sono qui solo per Matteo: merita di conoscere sua nonna. Se vuole, può far parte della sua vita. Altrimenti, capisco.”
Riattacco e rimango in silenzio a lungo. Da una parte, non posso ignorare i dubbi di Luca. Dallaltra, negli occhi di Matteo ho visto qualcosa di familiare. Il suo sorriso. I suoi gesti. O era solo il mio desiderio di essere nonna?
Quella sera, guardo fuori dalla finestra, ripensando alle mattine in cui accompagnavo Luca a scuola, ai pasti insieme, al suo primo giorno di scuola. Aveva davvero abbandonato una ragazza incinta? O quel bambino non era suo?
Eppure, nonostante tutto, sento una strana tenerezza al pensiero di Matteo. E mi arrabbio con me stessa per questi dubbi. Non avevo chiesto prove quando Luca era nato. Perché chiederle a Sofia? Perché non posso semplicemente credere?
Non ho preso nessuna decisione. Non lho richiamata. Ma ogni volta che passo per quella strada, guardo ogni viso. Non so se Matteo sia mio nipote. Ma non riesco a dimenticarlo. Il sogno di una nonna non muore così facilmente. Forse un giorno comporrò quel numero. Anche solo per incontrare quel bimbo che mi ha chiamata “nonna”.
A volte, la famiglia non è una questione di sangue, ma di cuore. E accettare lignoto può regalarci le più belle sorprese.






