Mio suocero, 89enne, ha vissuto con noi per 20 anni senza mai contribuire alle spese di casa

Mio suocero, di 89 anni, visse con noi per ventanni senza contribuire mai alle spese di casa. Dopo la sua morte, rimasi sconvolto quando un avvocato bussò alla porta con notizie inaspettate.
Mi sposai a trentanni, senza possedere nulla.
La famiglia di mia moglie era altrettanto povera; cera solo suo padre, il signor Bianchi, quasi settantenne, fragile, silenzioso, che viveva con una pensione da veterano.
Poco dopo il matrimonio, si trasferì da noi e rimase nella nostra casa fino allultimo giorno.
Per ventanni, non diede un solo euro per la luce, lacqua, il cibo o le medicine.
Non badó mai ai nipoti, non cucinò né pulì. Alcuni lo chiamavano “un parassita di prima categoria”.
A volte mi irritava, ma pensavo: “È un vecchio, mio suocero; se mi lamento, chi si prenderà cura di lui?”
Così tacevo. Eppure, dentro di me, covavo un certo rancore.
Tornavo a casa stanco dal lavoro, aprivo il frigo vuoto e lo vedevo sorseggiare tranquillo il caffè, come se nulla lo riguardasse.
Un giorno morì, e pensai che fosse finita… Se ne andò in pace a 89 anni.
Niente malattie gravi, niente ospedali. Quella mattina, mia moglie gli portò una tazza di latte e lo trovò senza respiro.
Non provai molto dolore, in parte perché era anziano, in parte perché mi ero abituato alla sua presenza come a unombra in casa.
Il funerale fu semplice. Nessuno nella famiglia di mia moglie aveva soldi, così toccò a noi occuparci di tutto.
Tre giorni dopo, un uomo in giacca e cravatta si presentò alla nostra porta, e per poco non mi cadde il bicchiere dacqua che tenevo in mano.
Era un avvocato, con una pila di documenti. Dopo aver verificato la mia identità, mi consegnò una cartella rossa e disse:
“Secondo il testamento del signor Bianchi, lei è lunico erede di tutti i suoi beni.”
Scoppiai in una risata nervosa, pensando fosse uno scherzo. “Quali beni? È stato un parassita per ventanni; non aveva nemmeno un paio di scarpe decenti.”
Ma lavvocato sfogliò i fogli con serietà:
Un terreno di 115 metri quadrati nel cuore di Firenze, intestato a me due anni prima.
Un conto in banca con oltre 250.000 euro, a mio nome.
Una lettera scritta a mano dal signor Bianchi, affidata allavvocato:
“Questo genero si lamenta spesso, ma mi ha curato per ventanni senza farmi mancare nulla.
Mia figlia è pigra, e lui ha portato tutto il peso sulla schiena. Ho vissuto a lungo, so chi è buono e chi no.
Non ha bisogno che lo ripaghi, ma non posso morire senza lasciargli qualcosa.”
Rimasi immobile, con le lacrime agli occhi, senza capire bene il perché.
Non era affatto povero.
Quel terreno era un bene di famiglia, che aveva tenuto segreto, senza dire una parola.
Il conto in banca era il frutto di una vita di risparmi, con gli interessi, senza toccare un solo centesimo.
Decise di lasciarlo a me, a colui che una volta aveva considerato “un parassita” e che forse avrebbe voluto vedere andar via.
Quella notte, mi sedetti da solo davanti alla sua foto, accesi un incenso e, fissando il suo sorriso, sussurrai:
“Mi sono sbagliato, padre…
Ha vissuto in silenzio, senza far pesare nulla a nessuno, nemmeno a chi lo aveva giudicato un peso.”

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