Miracolo Quotidiano

**Un Miracolo Qualunque**

Eccoci di nuovo in quel piccolo caffè all’angolo del vecchio quartiere—Ginevra e Alessandro.

Lei, una donna alta e raffinata, con ciocche ribelli di capelli scuri che sfuggivano sempre alla fascia o alla forcina, come se volessero ricordarle che era viva, vera.

Lui, un uomo robusto, con occhi stanchi ma caldi, e quelle rughe agli angoli—di chi ride senza trattenersi. I capelli alle tempie già sfiorati dal grigio, che gli donavano un’aria dignitosa.

Sedevano uno di fronte all’altra, come se il tempo si fosse fermato. Lui mescolava con cura lo zucchero nella sua tazza di caffè, sapendo che ne voleva esattamente due cucchiaini. Lei, come sempre, arrotolava il tovagliolo di carta tra le dita, finché non diventava un cilindretto stretto.

Sembravano naturali insieme, quasi non si fossero mai lasciati. Ma sapevo bene che dietro quei sguardi si nascondeva una vita intera—fatta di scelte, dolori, dubbi… e amore.

«Ginevra, dimmi, come vi siete conosciuti?» chiesi una volta, incapace di resistere.

Lei guardò Alessandro, come per chiedergli il permesso. Lui annuì.

«Lavoravo in banca», cominciò lei, abbassando gli occhi. «Era tutto nuovo, mi sentivo persa… E lui…» sorrise.

«E io ero il capoufficio borioso», intervenne lui, con una smorfia.

Ginevra scosse la testa. «Era insopportabile. Tutte le ragazze dell’ufficio tacevano quando entrava lui. Abiti costosi, portamento, quello sguardo… Ma guardava solo me.»

«Con quel vestito blu e la fossetta sulla guancia», aggiunse lui, dolcemente. «Ridevi in modo che tutta la stanza si illuminava.»

Ginevra sorrise e sfiorò inconsciamente la guancia.

«Poi… Poi mi invitò a cena. Si ubriacò. E mi disse che era sposato.»

Un silenzio pesante. Il ricordo li travolse. Alessandro strinse la tazza. Ginevra fissava un punto lontano, nel passato.

«Decisi subito—niente futuro. Non volevo essere “quell’altra”. Ma lui non mollò. Fiori, libri, viaggi… Grazie a lui andai a teatro per la prima volta, all’opera… Vivevo.»

«Perché non è andata come speravate?» chiesi con cautela.

«Mi propose di lasciare sua moglie. Io dissi di no. Avevo paura. Paura che si sarebbe pentito, che non sarei stata all’altezza, che la sua famiglia mi avrebbe rifiutato. Avevo paura dell’amore.»

«E io non ero pronto a distruggere tutto. I bambini, la routine… Avevo paura della responsabilità», aggiunse Alessandro.

Ginevra respirò profondamente.

«Poi incontrai un altro. Tutto accadde in fretta—fidanzamento, matrimonio… Scappai. Senza nemmeno salutarlo.»

«Ti avrei chiesto di restare», sussurrò Alessandro, quasi impercettibile. «Ma non allora. L’ho capito troppo tardi.»

«Anni dopo ci siamo ritrovati qui, per caso. Stavo divorziando, e lui mi disse che era felice per me. Mentii. Lui lo capì.»

Alessandro le sfiorò la mano.

«Alzi sempre le spalle quando menti», mormorò.

Un silenzio. Occhi negli occhi. Dentro, c’era tutto: il vissuto, il non detto, il lasciato andare.

«Ora siamo amici», sorrise Ginevra. «O quasi.»

«Sappiamo solo amare. A modo nostro. Senza pretese né promesse», disse Alessandro.

E pensai: il miracolo non è incontrarsi, ma non perdere quel calore dentro, anche se non è bastato. Riuscire a tenere una persona nella propria vita, nonostante tutto.

Un miracolo qualunque. Eppure, il più vero di tutti.

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