**Il Miraggio**
A cena, il padre non smetteva di lanciare occhiate irritate al figlio. Luca capì: sua madre gli aveva detto che dopo il diploma voleva iscriversi all’università di Roma.
Il padre spinse via il piatto vuoto e lo fissò negli occhi. “Adesso succederà qualcosa,” pensò Luca. Avrebbe voluto sprofondare sotto terra o diventare invisibile. Sotto lo sguardo furioso del padre, gli spaghetti gli si incollavano in gola, né poteva deglutirli né sputarli.
Lo salvò la madre. Distrasse il padre, gli porse una tazza di tè, avvicinò il vassoio con biscotti e cioccolatini.
“Grazie, mamma, sono sazio. Il tè lo berrò dopo,” disse Luca, alzandosi da tavola.
“Ehi, siediti!” lo riprese il padre.
Luca sapeva che con lui era meglio non discutere, così obbedì.
“Devo fare i compiti…” tentò.
“Farai in tempo. Tua madre mi ha detto che vuoi andare a Roma. Che ti manca qui? Ti abbiamo cresciuto, pensavamo che ci avresti aiutato in vecchiaia, invece vuoi scappare?”
“Non scappo…” borbottò Luca.
“Dimmi un po’. Cos’hai trovato, il miele, a Roma?”
“Lì ci sono più opportunità per fare carriera. Voglio diventare architetto, qui non c’è quella facoltà,” alzò anche lui la voce.
“Sandro, lascialo andare, i professori lo lodano,” disse la madre con tono pacato, poggiando una mano sulla spalla del marito.
“Non abbiamo i soldi per pagarti gli studi. Là tutto è a pagamento, qui gratis. Sentì la differenza?” ribatté il padre, infiammandosi.
“Entrerò al pubblico concorso,” rispose Luca con tono ostinato. “Andrò comunque.”
“Sandro, calmati, non parte domani, ci sono ancora gli esami. Vai, figlio, fai i compiti.” La madre gli fece l’occhiolino verso la porta. A Luca non servì chiederlo due volte: uscì subito dalla cucina.
“Basta assecondarlo! Abbiamo cresciuto una testa calda. Da vecchi, non avremo nemmeno chi ci porterà un bicchiere d’acqua…”
Luca si fermò sulla soglia della sua stanza, ascoltando, la mano sulla maniglia.
“Calmati. È presto per pensare alla vecchiaia. Roma è vicina, due ore e mezza di treno, verrà a trovarci…”
Il padre borbottò qualcosa di incomprensibile.
“Bevi il tè, che si fredda. Vuoi lo zucchero?” chiese la madre.
“Ma che sei, sono un bambino? Ci penso io…” rispose il padre, irritato.
Sembrava che la tempesta fosse passata. Luca si chiuse in camera. Il cuore gli cantava in petto. Era fine marzo, mancavano ancora due mesi di scuola, poi gli esami, ma non importava. L’importante era che sarebbe andato a Roma, lo aspettava una vita interessante, centinaia di possibilità. Ce l’avrebbe fatta, sicuro…
Dopo la festa di diploma, Luca e la madre partirono per la capitale a consegnare i documenti. La cugina della madre, una donna bruttina e sola, li accolse con freddezza. Si lamentò dei forestieri che arrivavano a Roma, “come se fosse gomma…”
“E va bene, resterà qui. Ma ho la pressione alta, dormo male. Niente rientri tardi, niente ospiti. Preparerò la colazione, dividerò la cena, ma a pranzo arrangiati,” spiegò le regole la cugina.
La madre annuì soltanto.
“Quanto vuoi per l’affitto?” chiese cauta, sperando che la cugina si offendesse o rifiutasse. Che pagamento tra parenti? Ma non fu così.
“Lo sai, qui è Roma, non il vostro paesino…” La cugina storse le labbra sottili. “La vita costa. Non te la prendere…” e nominò una cifra astronomica per le loro tasse.
La madre sussultò, scambiando un’occhiata con il figlio.
“Mamma, meglio il dormitorio…”
“Ma no, figlio. Come faresti a studiare? Io e tuo padre ti manderemo i soldi, non preoccuparti. Tu pensa solo agli studi.”
“Guarda come parla. È appena arrivata a Roma e già fa la difficile. Tu non dire niente a tuo padre dei soldi. Ci penso io,” sospirò la madre sul treno del ritorno.
Luca fu ammesso. Arrivò a Roma qualche giorno prima delle lezioni per ambientarsi. Dalla periferia all’università era un viaggio con cambi, lungo e scomodo. Ma era pur sempre Roma!
Usciva di casa all’alba e vagava per la città fino a sera. A Monte Mario rimase senza fiato davanti alla vista della città. Un gruppo di turisti si fermò accanto a lui, e una guida giovane e carina iniziò a raccontare qualcosa.
Luca si avvicinò per sentire meglio. La guida lo notò ma non disse nulla. Poi il gruppo se ne andò, e lei rimase, controllando il telefono.
“Racconti molto bene,” disse Luca.
Lei sorrise e chiese da dove venisse.
“Si nota così tanto?” si intristì.
“I forestieri si riconoscono dagli occhi, smarriti e pieni di meraviglia.”
Luca le raccontò che era venuto a studiare, anche se viveva in periferia, che non era come il centro. Gli sembrava di non essersi nemmeno mosso dal paesino. Parlarono tanto che non si accorsero di aver lasciato Monte Mario.
“Abito qui,” disse all’improvviso la sua compagna. “Sei stanco? Su, vieni a casa mia, ti offro un tè. Ho un po’ di tempo. Poi devo prendere mia figlia all’asilo,” aggiunse, ridendo nel vedere la sua espressione stupita.
Si chiamava Silvia. Era quasi il doppio della sua età. Gli offrì la cena, il tè. Luca si sciolse, non voleva più andarsene.
“Posso tornare a trovarti?” chiese, prima di partire.
Silvia lo guardò attentamente. Non con condiscendenza, non con ironia, ma con vera attenzione.
“Torna,” disse semplicemente.
Luca resistette un giorno, poi al terzo tornò. Rimase davanti al portone, indeciso. A un tratto vide Silvia con la bambina. Si giustificò di essere lì per caso, ma lei capì tutto. Mentre Luca giocava con Giulia, Silvia preparò la cena. Mangiarono insieme. La bambina non voleva lasciarlo andare, lo supplicò di metterla a letto e leggere una storia.
E poi… Era troppo tardi per tornare dalla cugina.
“Resta,” disse Silvia.
Restò. Ai genitori disse che viveva in affitto con un compagno di corso. Suo padre pagava. La cugina era troppo lontana. Non servivano più soldi. Ma la madre continuò a mandargliene di nascosto.
Durante le vacanze tornava a casa. E contava i giorni per tornare a Roma, da Silvia. Il paesino ora gli sembrava piccolo, stretto e noioso.
Spesso andava a prendere Giulia all’asilo, giocava con lei. Nei weekend giravano per la città, andavano al cinema. Si vergognava di vivere a spese di Silvia, così dopo il primo anno passò al corso serale e trovò lavoro. E così, quella notte che doveva essere un’eccezione, rimase da Silvia per anni.
Alla fine del terzo anno conobbe Claudia, una ragazza vivace e bella. Ora rimaneva sempre più spesso fuori, diceva a Silvia che aveva molto lavoro e distoglieva lo sguardo. Silvia annuiva triste e gli scaldava la cena. Di notte le voltava leInfine, guardando Giulia crescere e diventare una donna, Luca capì che il vero amore era stato sempre quello che aveva dato per scontato, e che ormai, fra rimpianti e ricordi, non gli restava altro che vivere con quel peso per sempre.