**Il Segreto della Periferia**
Vittorio festeggiava il suo compleanno. Aveva deciso di trascorrerlo con la famiglia in una tenuta pittoresca ai piedi delle Dolomiti. Arrivati sul posto, si era diretto a fare una passeggiata con i bambini lungo i sentieri che si perdevano tra gli abeti. Sua moglie, Elena, era rimasta a preparare il pranzo festivo. Stava tagliando con destrezza le verdure per l’insalata quando il telefono di lui, lasciato sul tavolo di legno massello, squillò con un suono acuto. Il rumore insistente la costrinse a rispondere.
“Pronto?” sussurrò.
Dall’altra parte, solo un silenzio inquietante, prima che la chiamata si interrompesse all’improvviso. Elena rimase immobile, stringendo il telefono, il cuore che le batteva forte per l’ansia. Poco dopo, Vittorio rientrò con i bambini, ridacchianti e allegri, ma la sua espressione cambiò non appena notò il telefono tra le sue mani.
“Cosa ci fai con il mio telefono?” chiese bruscamente, e nei suoi occhi balenò un’ombra.
“Hanno chiamato… ma non hanno detto niente,” mormorò lei, sentendo la voce tremargli in gola. Vittorio strappò il telefono dalla sua mano, e il suo sguardo si riempì di una rabbia improvvisa. Quel che accadde dopo le fece stringere il cuore dalla paura.
Elena aveva conosciuto Vittorio quindici anni prima in un piccolo bar nel centro di Firenze, dove lavorava come cameriera. Quella sera era piena di risate e rumore quando lui e i suoi amici erano entrati nel locale. Le era sembrato riservato, ma con un’aura di sicurezza magnetica che attirava gli sguardi.
Verso mezzanotte, il gruppo si preparò a uscire, lasciando una mancia generosa. Vittorio si trattenne vicino a Elena e, con un tono basso, quasi un sussurro, le chiese:
“Posso accompagnarla a casa? Quando finisce il turno?”
“Grazie, ma sono sola,” rispose lei, sentendosi arrossire.
Lui sorrise, salutò, ma quando Elena uscì dal bar, lo trovò ad aspettarla all’ingresso.
Quell’incontro casuale era stato l’inizio della loro storia—leggera come una brezza primaverile, ma cresciuta fino a diventare un matrimonio solido. Vittorio veniva da una famiglia benestante che aveva accolto Elena come una figlia. La sua infanzia, invece, era stata segnata dalla separazione dei genitori a dodici anni. Il padre aveva lasciato la città, rifacendosi una vita, mentre la madre, piena di rancore, spesso l’aveva lasciata sola.
Dopo la scuola, Elena si era iscritta a un istituto alberghiero a Firenze, poi aveva trovato lavoro al bar. La vita con Vittorio era stata una rinascita. A ventisette anni, lui occupava già una posizione di rilievo in un’azienda informatica di successo. Le aveva pagato un corso di programmazione e l’aveva fatta assumere nella sua società.
“Vittorio, è davvero interessante lavorare qui!” disse Elena felice, salendo in macchina dopo il lavoro. “Tutti sono così gentili, non come al bar!”
Lui le accarezzò la spalla con dolcezza.
“Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto. Allora, andiamo al supermercato? Avevi promesso la formaggella alle erbe per cena.”
“Non vedo l’ora di cucinarla!” rise Elena.
La loro intesa era quasi magica, come se si fossero conosciuti da sempre. L’unica ombra era l’assenza di figli. I medici si limitavano a scrollare le spalle: “È una lotteria.” Ma loro non si arresero. Dopo anni di tentativi, nacque il loro figlio Matteo. Due anni dopo, arrivò la piccola Cecilia.
Vittorio era diventato un padre e un marito esemplare, prendendosi cura di tutto. Elena, dopo la nascita dei bambini, si era dedicata alla famiglia. Ma una sera, con i figli all’asilo, disse pensierosa:
“Vittorio, forse potrei tornare a lavorare? I bambini sono a scuola e io passo le giornate da sola…”
Lui la guardò sorpreso.
“Elena, sei seria? Vuoi correre tra lavoro e bambini, poi compiti e attività? Sei la migliore moglie e madre, non ti basta?”
La strinse tra le braccia ed Elena, sorridendo, acconsentì.
Passarono sei anni. Matteo e Cecilia andavano a scuola, mentre Elena organizzava la vita domestica. Non si annoiava: quattro anni prima aveva preso la patente, e Vittorio le aveva regalato un’auto. Le sue giornate erano piene, tra scuola e impegni. Ma quando sua cugina Marta propose una visita, Elena si illuminò di gioia. Marta era l’unica parente con cui aveva un rapporto sincero.
“Marta, quanto mi sei mancata!” esclamò abbracciandola alla stazione.
Marta la osservò con un sorriso malizioso.
“Elena, sei cambiata… un po’ più in carne,” scherzò.
Elena arrossì.
“Due figli, sai, non aiutano! Ma Vittorio dice che così gli piaccio di più.”
“Be’, se lo dice lui, chi sono io per contraddirlo?” rise Marta. “Portami a casa, ho bisogno di caffè e di una doccia!”
A casa, Marta confessò che il marito aveva chiesto il divorzio per una donna più giovane.
“Credi fosse anche tirchio!” disse tra le lacrime. “Mi ha cacciata con una valigia. Ho qualche soldo da parte, ma poi?”
Elena la strinse con affetto.
“Vuoi che chieda a Vittorio di farti assumere in azienda? Gli stipendi sono buoni.”
Marta annuì entusiasta. Quella sera, Elena parlò al marito dei guai della cugina.
“Non è un problema,” rispose Vittorio. “Ha un’istruzione, la assumiamo. Domani parlo con le risorse umane.”
“Grazie, amore,” mormorò Elena, commossa.
Passarono sei mesi. Marta lavorava nell’azienda di Vittorio e spesso veniva a trovarli. Una sera, prendendo il tè inchino sulla cucina, Marta scosse la testa e sospirò: “Non capisco gli uomini di oggi—sono intelligente, carina, ma non trovo nessuno che valga la pena.”