Natasha ha atteso a lungo questo momento – adottare un bambino dall’orfanotrofio

Loredana da tempo sognava di prendere un bambino da un orfanotrofio. Il suo marito, con cui ha vissuto sei anni senza mai avere figli, lha lasciata per unaltra donna più giovane e di successo. Loredana si sentiva svuotata, senza più energia né voglia di ricominciare a cercare una coppia nelle gioie e nei dolori. Decise di dire basta. Se doveva investire le sue forze e il suo affetto, lo avrebbe fatto per chi ne ha davvero bisogno, non per un compagno.

Così si è messa subito al lavoro. Ha scoperto tutto quello che serve allUfficio Tutela Minori, ha raccolto la carta necessaria e adesso il compito più importante: trovare quel ragazzino che diventerà suo figlio, il suo prolungamento, e donargli tutto il calore accumulato in 38 anni.

Non voleva un neonatello, temeva di non farcela con un neonato perché ormai ha superato quelletà in cui una donna, senza rendersene conto, desidera passare le notti a cullare, cambiare e parlare dolcemente. Per questo si è diretta verso un casa di accoglienza, alla ricerca di un bimbo di trecinque anni che potesse sentirsi suo figlio.

Mentre saliva sul tram, le papille erano in subbuglio come al primo appuntamento; non notava nemmeno come la primavera fosse davvero arrivata a Roma, fresca, avvolta da una luce intensa. Il tram cigolava nelle curve, e Loredana continuava a pensare al futuro del bambino che ancora non conosceva, ma che già sentiva destinato a lei.

Fuori dal finestrino si vedeva la città primaverile: auto che luccicavano, gente di fretta, e nessuno sospettava che Loredana stesse andando incontro alla sua felicità. Si girò verso il finestrino, ma non guardò più fuori: sorrideva già al futuro figlio che le sarebbe apparso fra pochi minuti.

Arrivarono alla fermata Casa di accoglienza. Subito dopo, la prossima fermata era Asilo. Uscita dal tram, Loredana si trovò davanti a un vecchio palazzo con colonne di intonaco cadente, quasi mascherate come se fossero per nascondere qualcosa. Entrò, parlò con il portiere, che la indirizzò verso lufficio della direttrice.

Dentro cera una signora anziana, quasi una nonna, avvolta in una vecchia maglia a coste. La direttrice, dallaspetto trasandato ma con gli occhi fissi sulla scena, era chiaramente al suo posto da tempo. Dopo un breve scambio, perché il giorno prima si erano già sentiti al telefono, la signora le chiese:

Allora, veniamo a scegliere?

Loredana la seguì, camminando lungo un corridoio con pannelli blu scuro. La direttrice, girandosi, le sussurrò:

Il gruppo più piccolo è al gioco, andiamo anche noi.

Spingerono la porta e si trovarono in una stanza con un tappeto colorato, scaffali pieni di giochi e bambini che correvano. Linsegnante, seduta a un tavolino vicino alla finestra, annotava qualcosa, alzando di tanto in tanto lo sguardo per controllare lordine.

Appena le adulti entrarono, i bimbi si precipitarono verso di loro, avvolgendo le gambe di Loredana e della direttrice, sollevando le faccine e gridando a squarciagola:

È la mia mamma! Vieni qui!

No, è la mia mamma! Lho già riconosciuta! Lho vista anche in sogno!

Prendimi! Sono tua figlia!

La direttrice accarezzava i piccoli testoni e sussurrava a Loredana brevi descrizioni. Loredana, un po confusa, pensava che doveva prendere tutti, anche tutti i bimbi.

Tra loro cera un ragazzino seduto su una sedia di fronte alla finestra, che non si avvicinava agli adulti ma osservava la stanza come se fosse un dipinto familiare. Loredana, per qualche motivo, si avvicinò a lui e gli posò la mano sulla testa.

Dai suoi palmi spuntavano occhi piccolini, leggermente a mandorla, dal colore indefinito, che si addicevano a quel viso paffuto, al naso largo e alle sopracciglia appena accennate. Il bambino non assomigliava per niente al tipo di figlio che Loredana aveva immaginato. E, quasi a confermare il suo timore di non essere quello giusto, il bambino disse:

Non mi sceglierete comunque.

Mentre lo guardava, gli occhi lucidi, disse:

Perché lo chiedi, piccolo?

Perché sono sempre con il naso che cola e mi ammalo spesso. Ho anche una sorellina, Nicolina, nella piccola aula. Ogni giorno le corro dietro e le accarezzo la testa così non dimentica che ha un fratello maggiore. Io mi chiamo Giacomo, e senza Nicolina non vado da nessuna parte

Allora, dal naso gli scivolarono le prime gocce di muco. Fu in quel momento che Loredana capì che tutta la sua vita laveva portata a incontrare quel Giacomo col naso che cola, spesso malato, e la sua sorellina Nicolina, che non aveva ancora visto ma che già amava.

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