Negozio di Seconda Mano Magico

Lo straordinario mercatino dell’usato

Io, Giulia, spesso ripenso alla mia infanzia, e ogni volta davanti ai miei occhi compare quel mercatino dell’usato, una vera bottega delle meraviglie dove io e le mie amiche facevamo sempre tappa dopo la scuola. Avevo undici anni, frequentavo la quinta elementare, e il mondo mi sembrava pieno di misteri. Insieme a Sofia e Martina, trasformavamo le giornate in avventure, e quel negozio era il nostro tesoro, un luogo dove ogni oggetto custodiva una storia. Anche adesso, a distanza di anni, quando chiudo gli occhi, vedo ancora gli scaffali, sento l’odore dei libri vecchi e quel puro entusiasmo che ormai non tornerà più.

Quell’anno eravamo inseparabili. Sofia, con le sue trecce sempre scomposte, sognava di diventare archeologa, mentre Martina, la più seria del gruppo, portava sempre con sé un taccuino dove annotava «pensieri importanti». Io, Giulia, ero una via di mezzo: adoravo fantasticare, immaginandomi ora l’eroina di un libro, ora un’esploratrice. Dopo le lezioni, non correvamo subito a casa, ma filavamo direttamente al mercatino in fondo alla strada. Era un posto vecchio, con un’insegna scolorita e una porta che cigolava, ma per noi era la caverna di Aladino, piena di segreti e meraviglie.

Il negozio era piccolo, eppure sembrava infinito. Gli scaffali straripavano di oggetti: candelieri antichi, libri ingialliti, abiti con colli di pizzo, orologi fermi da chissà quanto tempo. La signora Maria, la commessa, se ne stava sempre dietro il bancone a lavorare a maglia e brontolava bonariamente: «Ragazzine, non combinate guai, eh!» Ma noi non pensavamo a fare danni: eravamo esploratrici, cercatrici di tesori. Sofia aveva trovato una spilla di rame a forma di coleottero e giurava che fosse un talismano di una principessa etrusca. Martina sfogliava riviste di moda ingiallite, sognando di cucirsi un vestito simile. Io, invece, adoravo i libri, soprattutto uno dalla copertina consunta che parlava di pirati. Mi immaginavo di trovare una mappa del tesoro nascosta tra le pagine.

Un giorno, in un freddo pomeriggio di novembre, tornammo al mercatino. Fuori cadeva una pioggerellina, le nostre scarpe erano fradice, ma dentro era caldo e profumava di polvere e lavanda. Io mi precipitai alla mia mensola preferita, mentre Sofia trascinò Martina verso la scatola dei gioielli. «Giuli, vieni qui! — gridò Sofia. — Guarda che anello!» Sul suo palmo c’era un piccolo anello con una pietrina verde, opaca ma comunque magica. «Viene sicuramente da un castello!» dichiarò. Martina, strizzando gli occhi, aggiunse: «O forse dal baule di qualche baronessa». Ridacchiando, lo provammo a turno, e io mi sentii come la protagonista di una fiaba.

La signora Maria, vedendoci così entusiaste, si avvicinò sorridendo: «Vi piace? Costa solo cinque euro, ragazzine. Prendetelo, prima che qualcun altro lo porti via». Cinque euro! In tasca avevamo giusto qualche spicciolo per le merendine a mensa, ma non ci demmo per vinte. «Facciamo una colletta!» proposi io. Vuotammo le tasche: io avevo due euro, Sofia uno e qualche monetina, Martina un euro e mezzo. Non bastava, ma non ci arrendemmo. «Signora Mari, — implorò Sofia, — ce lo può tenere? Domani le portiamo i soldi!» La signora Maria scosse la testa, ma i suoi occhi ridevano: «Va bene, prendetelo, ma domani dovete ripagarmi!»

Uscimmo dal negozio come se avessimo compiuto un’impresa. L’anello era nel taschino di Martina, e lo toccavamo a turno, come se fosse davvero magico. Quella notte non riuscii a dormire, immaginando che appartenesse a un’avventuriera che aveva navigato per mari lontani. Il giorno dopo, restituimmo i soldi — io rinunciai persino alla merenda per mettere insieme i miei cinquanta centesimi. E sebbene poi l’anello si perse (Sofia giurava di averlo lasciato nello zaino), quell’emozione rimase con me per sempre.

Quel mercatino non era solo un posto di oggetti usati. Ci insegnò a sognare, a credere nella magia, a trovare l’eccezionale nell’ordinario. Io, Sofia e Martina siamo cresciute, ci siamo allontanate. Sofia è diventata una geologa, Martina una designer, io un’insegnante di lettere. Ma ogni volta che ci sentiamo al telefono, qualcuna dice sempre: «Vi ricordate quel mercatino?» E ridiamo come se avessimo ancora undici anni, con davanti scaffali pieni di storie.

Ora vivo in una grande città, e posti del genere non esistono quasi più. A volte entro in negozi d’antiquariato, ma non è la stessa cosa: tutto è troppo lucidato, senza quella magia. Mi manca la porta cigolante, la signora Maria, le nostre fantasie di bambine. Recentemente, ho trovato in una scatola un vecchio libro — quello sui pirati. L’ho aperto, ho annusato le pagine ed è come se fossi tornata in quinta elementare. Forse quel mercatino era davvero il nostro tesoro — non per le cose che c’erano, ma per le persone che eravamo dentro quelle mura. E ringrazio il destino per avermi regalato un’infanzia così: con amiche, sogni e una bottega delle meraviglie che resterà per sempre nel mio cuore.

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