—Nonna, domani non potremo venire al tuo compleanno, perdonaci, — telefonò Antonio, la sera prima, il marito della nipote Ginevra.
—Antonino, cos’è successo? Che vi è capitato? — chiese preoccupata Speranza Ignazia.
—Nonna, ho appena portato Ginevra all’ospedale. Non ha voluto aspettare il tuo anniversario, ha deciso di farti un regalo in anticipo, anche se il bambino non è ancora nato. Ti chiamo dalla sala d’attesa, — spiegò Antonio, con una voce che tremava tra l’ansia e la gioia.
—Madonna Santissima, Antonino, che gioia! Io mi sono spaventata. Chiamare di sera, non è il vostro solito. Va bene, grazie per avermi avvisata. Pregherò perché tutto vada bene con Ginevra e il mio nipotino. Chiamami quando nasce, anche se è notte, non dormirò comunque.
—Va bene, nonna, ti chiamerò.
Due ore dopo, Antonio richiamò, la voce piena di orgoglio.
—Nonna, ecco il tuo regalo di compleanno: tuo nipote Giacomino. Ginevra sta bene. Festeggia pure senza di noi.
—Grazie, Antonino, e grazie per Giacomino. Salutami Ginevra, dille che la abbraccio forte, è stata bravissima.
Speranza Ignazia compiva sessantacinque anni. Non ci sarebbero stati molti ospiti. Solo la seconda figlia con il marito e il figlio, suo nipote, e due amiche di una vita, Valeria e Nella, con cui aveva lavorato per tanti anni.
Sette anni prima aveva sepolto suo marito, Alessandro. Avevano vissuto una vita felice, ma il destino aveva voluto che lui la lasciasse troppo presto. Un infarto, ancora prima della pensione. Insieme avevano cresciuto la loro figlia, Adelaide, l’avevano fatta studiare all’università, e ora abitava in città con il marito.
Speranza e Alessandro vivevano in una frazione. Un posto grande, con una fabbrica che dava lavoro a tutti. Si erano conosciuti proprio lì. Arrivò un giovane ingegnere, Alessandro, un uomo alto e sorridente. La notò in mensa, una ragazza allegra e bella. Dopo pranzo, lei uscì con l’amica Nella, e lui la fermò sull’uscio.
—Signorina, facciamo conoscenza? Io sono Alessandro, ma puoi chiamarmi Ale o Sandro, non mi offendo. — Sorrideva, mostrando denti bianchissimi.
—Speranza, — rispose timidamente, abbassando lo sguardo per nascondere il rossore sulle guance. Quel ragazzo le era piaciuto subito.
—Che bel nome, Speranza. Se non ti dispiace, ti aspetto qui stasera.
—Va bene, non mi dispiace.
La sera, uscì e lo trovò ad aspettarla.
—Che ne dici di andare al cinema, o a fare una passeggiata?
—Passeggiamo, al cinema non si può chiacchierare, — rise lei.
—E tu, in che reparto lavori? — chiese lui.
—Sono economista, mi sono laureata da poco. E tu?
—Anch’io sono un giovane laureato. Ho finito il Politecnico e sono venuto qui per lavorare in fabbrica. Ingegnere nel reparto molle.
—Sei di qui?
—Sì, i miei abitano qui. Abbiamo una casa grande. Mio padre è un capocantiere, l’ha costruita lui. Mia madre lo ha sempre sostenuto.
—I miei invece vivono in campagna, lontano da qui. Non sono tornato dopo gli studi, non c’era lavoro. Ho scelto questo posto. Ci sono venuto per un tirocinio e mi è piaciuto.
—Anch’io. Ho studiato qui e sono tornata. La mia vita è qui.
Da quel giorno si frequentarono, si innamorarono. Poi Alessandro conobbe i genitori di lei. Arrivò con un mazzo di fiori per la madre e una bottiglia di vino per il padre.
—Buongiorno, — salutò entrando. — Sono Alessandro, lavoro con Speranza. Ecco dei fiori per voi, signora. — Porgendo il regalo al padre, aggiunse: — E questo per lei.
—Grazie, Ale, — rispose la madre, — accomodati, siediti con noi. Non c’era bisogno di portare niente.
—Ma come, a mani vuote non si viene, — sorrise, prendendo posto accanto a Speranza.
Piacquero subito ai genitori. Parlarono con naturalezza, come se si conoscessero da sempre. Alessandro parlò dei suoi, dei suoi due fratelli. Quando se ne andò — senza indugiare troppo, non voleva essere scortese — Speranza lo accompagnò al cancello.
—Speranzina, i tuoi sono meravigliosi, così accoglienti. Mi sono trovato benissimo.
—Grazie, Ale. Mio padre ti ha detto di tornare, quindi gli sei piaciuto. Vi ho visti parlare come vecchi amici.
—Be’, io vado. A domani.
Presto si sposarono. I genitori organizzarono un bel matrimonio, e arrivarono anche i parenti di lui dalla campagna, con sacchi di provviste: carne, latte, burro, uova. La madre di Speranza non sapeva dove mettere tutto.
—Dove li sistemiamo? — si chiedeva.
—Ormai siete in tanti, due uomini in casa mangiano molto! Io lo so…
Alessandro e Speranza vissero con i suoi genitori. La casa era grande, e poi c’era una stanza per la figlia. Erano una famiglia felice. Ma i genitori di lei non vissero a lungo. Prima il padre, poi la madre due anni dopo. E poi, un altro dolore, la morte di Alessandro.
Speranza rimase sola. Il tempo passò, e lei andò in pensione. Ora compiva sessantacinque anni. Si era abituata alla vedovanza. All’inizio era difficile, ma poi pian piano il dolore si era attenuato.
FesteE quella sera, mentre guardava il tramonto dalla sua veranda, Speranza Ignazia sorrise, sentendosi finalmente in pace, con il cuore leggero come il profumo della lavanda che cresceva rigogliosa nel suo giardino.