**Nella gabbia dorata**
Beatrice entrò in casa e si sfilò le scarpe con cautela, cercando di non svegliare la mamma. Represse a stento un gemito: quelle maledette scarpe nuove le avevano ridotto i piedi a brandelli.
«Tornata già? Scappata? Il matrimonio non ti è piaciuto?» La mamma sbucò dall’ingresso, occhi assonnati ma curiosi.
«E tu perché non dormi? Mi stavi facendo la guardia?» rispose Beatrice con tono secco.
La mamma strinse le labbra e rientrò in camera. Un senso di colpa trafisse Beatrice. La mamma l’aveva aspettata, voleva sapere com’era andata, e lei l’aveva trattata male. Entrò a sua volta in camera, si sedette sul divano accanto a lei e l’abbracciò.
«Non fare la ruffiana. Se non vuoi parlare, amen. Lo saprò dalla madre di Giulia.»
«Mamma, scusami. Sono stanca, ho i piedi a pezzi. Il ristorante era chic, c’erano una cinquantina di invitati, forse più. Rumore, musica, risate… E Giulia, col vestito bianco, era stupenda. Lo sposo pure, un Adone…»
«E allora perché te ne sei andata prima?» la interruppe la mamma.
«Mamma, tutti lì sembravano così pieni di sé, gonfi come tacchini insomma. Gente… non alla mia portata. E domani devo alzarmi presto.»
«Dove? Domani è domenica!» La mamma la squadrò sospettosa.
«Appunto. Te lo dico domattina. Ora vado a farmi una doccia.» Beatrice le stampò un bacio sulla guancia e scappò in camera sua a cambiarsi.
Si liberò con fastidio del vestito elegante che, al confronto con quelli degli altri ospiti, sembrava uscito da un mercatino. Poi si lavò con cura, strofinando con forza la schiena dove le erano rimaste appiccicate le mani sudate di quel grassone.
Lui l’aveva invitata a ballare, ignorando le sue scuse. Che doveva fare, prenderlo a pugni? L’aveva stretta al suo pancione, mentre le sue dita umide le scivolavano sulla pelle. Le piaghe ai talloni bruciavano come tizzoni. Aveva retto a stento fino alla fine del ballo.
Poi era venuto a sedersi al suo tavolo, riempiendole il bicchiere di vino. Nessuno si era accorto di lei. L’unica persona che conosceva, Giulia, era troppo occupata dagli ospiti e dallo sposo. Solo un paio di volte aveva incrociato lo sguardo di un uomo. Ma lui non aveva mosso un dito per salvarla dall’insistente ammiratore.
«Devo andare in bagno» aveva mentito, ed era scappata. Preso un taxi davanti al ristorante, era tornata a casa. No, non voleva un matrimonio così. Tutto studiato a tavolino, come una recita in cui ognuno aveva la sua parte. Lei si era sentita solo una comparsa.
Si rigirò nel letto senza riuscire a dormire. Nella testa le risuonavano ancora le note del valzer, il tintinnio dei bicchieri, i brindisi, le risate… Ripensò a quell’uomo. «Magari avesse ballato lui, invece di quel maiale sudaticcio. E smettila di pensarci!» Si sistemò meglio tra le coperte e infine si addormentò.
Al tiepido settembre seguì un ottobre freddo e piovoso. Giulia tornò dalla luna di miele e invitò Beatrice a casa sua per raccontarle tutto.
A Beatrice moriva dalla voglia di vedere come vivevano i ricchi. Ma non poteva presentarsi a mani vuote. Dopo le lezioni, entrò in pasticceria e comprò i dolci preferiti di Giulia. Stava uscendo quando, sulla porta, si scontrò con un uomo. Lui fece un passo indietro per farle passare.
«Ma guarda chi si vede!» esclamò all’improvviso.
Beatrice alzò lo sguardo e riconobbe l’uomo misterioso del matrimonio. Rimase impietrita dallo stupore.
«Su, esca, stiamo bloccando l’entrata» rise lui, prendendole la mano e trascinandola gentilmente di lato.
«Se n’è andata così in fretta dal matrimonio, proprio come Cenerentola. Non ho nemmeno fatto in tempo a presentarmi.» Sorrise, mostrando denti bianchissimi.
«Peccato non abbia perso una scarpetta» rispose Beatrice, ricambiando il sorriso.
«Torna a casa? Posso accompagnarla.»
«No, vado da un’amica, la sposa del matrimonio. Lei invece ha cambiato idea sugli acquisti?» Beatrice alzò un sopracciglio incuriosita.
«Sono così felice di averla incontrata che sarei disposto a rinunciare a tutti i dolci del mondo» disse lui, notando la scatola della pasticceria tra le sue mani. «Andiamo.» Le offrì il braccio e la guidò verso il suo SUV.
Non aveva mai viaggiato in macchine così lussuose e spaziose, a dire il vero non ne prendeva molte neanche di più modeste. Lui guidava con sicurezza, senza chiederle l’indirizzo. Beatrice iniziò a preoccuparsi.
«So dove abita la sua amica. Io e suo marito siamo soci e amici» spiegò, notando la sua espressione turbata.
Durante il tragitto, le raccontò di sé: si chiamava Federico, era divorziato, aveva un labrador…
«Ricco, bello, di successo. E pure simpatico. Proprio come voleva la mamma» pensò Beatrice.
«Perché torni così tardi? Iniziavo a preoccuparmi» la rimproverò la mamma quando rientrò.
«Sono stata da Giulia. Accidenti, ma che vita fa adesso…» Con grande gioia della madre, Beatrice si dilungò a descrivere la villa e l’amica abbronzatissima nonostante l’autunno grigio.
«E come ci sei arrivata? Adesso sta in quel posto snob…»
Tutti in città chiamavano così il quartiere residenziale dei ricchi.
«Mi ha dato un passaggio un conoscente» rispose a denti stretti Beatrice, pentendosi subito di aver fornito nuovo materiale per le interrogazioni materne.
«Conosciuto al matrimonio? Spero sia uno di “quelli”? Gli hai almeno dato il numero di telefono?»
«Sì, mamma, gliel’ho ficcato in targa a forza» sbottò Beatrice irritata.
«Ma perché ti arrabbi? Un uomo in vista si interessa a te e tu fai la schizzinosa, ti conosco.»
«Non ho fatto la schizzinosa, gli ho dato il numero. Ora basta, interrogatorio finito?»
«Che ti prende? Perché sei così aggressiva?»
«Sono stufa delle tue domande. Hai proprio voglia di sbarazzarti di me, eh?»
«Non dire sciocchezze. Mi preoccupo per il tuo futuro, perché tu sposi una persona perbene, come la tua amica. Mica uno studente squattrinato. O vuoi passare la vita a contare i centesimi?»
«Mamma, quando mai siamo stati così al verde?»
«Be’, ho un po’ esagerato» ammise la mamma. «Dimmi, almeno lui non ti dispiace?»
«Basta, mamma. Non voglio sposarmi ora.»
Il telefono di Beatrice squillò, salvandola dall’ennesima discussione. Era Federico.
«Ho deciso di non perdere tempo e chiamarti. Cosa fai domenica?»
«Nulla di che, studio per lunedì.»
«Tutto il giorno? Il tempo è splendido. Ti propongo una passeggiata a cavallo. Sei mai salita su un cavallo? No? Allora passo a prenderti alle undici.»
Beatrice accettò, senza renders”Andò a finire che, anni dopo, mentre passeggiava con il piccolo Matteo e stringeva la mano a Saverio, Beatrice sorrise pensando che la gabbia dorata era solo un brutto ricordo, e la libertà—anche quella fatta di scelte semplici—era la vera ricchezza.”