*La felicità non abita nella solitudine*
Non più giovanissima, ma con una luce negli occhi, Elisabetta Rossini aveva appena finito di lavare la tazza del tè e preparato un caffè, quando lanciò un’occhiata distratta alla finestra.
“Anni che tutto è sempre uguale. L’orologio, il vetro della finestra, il libro aperto sul davanzale… e la solitudine. Quanto mi manca mio marito, che se n’è andato così presto,” pensava spesso.
Era già passato un decennio da quando aveva sepolto l’amore della sua vita. Il dolore si era attenuato, ma alla solitudine non ci si abitua mai. Nei primi anni, le sembrava quasi di sentirne ancora la presenza, poi, poco a poco, quella sensazione svanì. Una volta, accorgendosene, rifletté:
“Gli amati non lasciano solo la casa, ma spariscono pian piano dall’anima. Prima o poi succede.”
Negli ultimi tempi, la solitudine la opprimeva. Aveva perfino iniziato a pensare di cercarsi un compagno, magari un altro vedovo come lei. Elisabetta scrutava il mondo intorno a sé, senza fretta, soffermandosi con discrezione sugli uomini che incrociava.
“E se ci fosse qualcuno con la mia stessa sorte? Un’anima altrettanto solitaria… chissà.” E, in quei momenti, la malinconia si dissolveva, sostituita dal dolce pensiero di sedere accanto a un uomo, mentre dentro di lei risuonava una musica nuova.
Da tempo, Elisabetta aveva notato un colonnello in pensione nel palazzo accanto. La sua amica Concetta, che abitava nel suo stesso piano, le aveva parlato di lui: marito suo, Paolo, spesso usciva con quell’ex militare a pescare.
“Giovanni è anche lui vedovo, sai,” le confidò Concetta un giorno. “Ha una figlia, ma vive lontana. Uomo serioso, sì, ma con Paolo scherza pure, ogni tanto! Dài, Elisabetta, perché non ci provi? Meglio in due che a passeggio col vuoto al fianco!”
“Ma come faccio io a fare il primo passo? E poi, spetta all’uomo prendere l’iniziativa,” rispondeva Elisabetta, da sempre riservata. Ex insegnante di lettere, donna di cultura ed eleganza, amava i libri e sapeva intrattenere con garbo.
Giovanni Rinaldi era davvero un tipo singolare. Magro, alto, capelli bianchi e occhiali, camminava rigido come se fosse ancora in servizio. Ma Elisabetta lo trovava interessante. Ogni volta che lo incrociava, lei abbassava lo sguardo mentre lui annuiva con un solenne:
“Buongiorno.” E lei ricambiava il saluto.
A volte lo fissava con uno sguardo eloquente, ma lui sembrava impassibile. Le vecchine in cortile, intanto, non perdevano occasione per spettegolare sul colonnello.
“Ho sentito che si è beccato una gran botta in testa durante una missione,” sussurrava Rosina, la portinaia. “Dicono abbia perso quasi tutti i sensi!”
“Ma che dici!” la interrompeva Valeria, l’ex maestra. “Mio figlio mi ha detto che ha problemi alla vista per via dei lunghi anni a guardare nel mirino. Per quello porta gli occhiali!”
“Sentite questa,” aggiungeva Graziella, vedova da poco e sempre in cerca. “Io credo che il problema sia… altrove. Capito? Ecco perché non guarda nessuna!”
Elisabetta, intanto, fantasticava. “*Cosa farà tutto il giorno da solo? Leggerà come me? O forse guarderà film di guerra… a me piacciono tanto quelli. E poi amo la poesia…*” Recitava tra sé versi malinconici, quelli che parlano di solitudine e attesa.
Una sera, il telefono squillò all’improvviso, strappandola alla lettura. Era Concetta.
“Elisabetta, buonasera! Dimmi, cosa stai facendo? Aspetta, indovino: sei lì col tuo libro in mano!” rise l’amica.
“Esatto,” ammise lei. “E cos’altro dovrei fare di sera? La tv mi stanca e il web è pieno di sciocchezze. Tu invece? Come sta Paolo?”
“Ti chiamo perché domani è il mio compleanno! Te ne sei scordata?”
“Mamma mia, Concettina, perdonami!” si scusò Elisabetta. “Grazie per avermelo ricordato, mi sarei sentita malissimo!”
“Nessun problema. Vieni domani da noi? Faremo una cenetta, giusto per festeggiare.”
Il giorno dopo, Elisabetta si preparò con cura. Si osservò allo specchio: un po’ di rughe, un po’ di cedimenti…
“Be’, l’età ha il suo fascino,” sorrise fra sé.
Arrivata a casa di Concetta, scoprì che tra gli invitati c’era anche il colonnello.
“Elisabetta! Finalmente!” esclamò l’amica, piazzandola accanto a Giovanni.
La serata proseguì tra brindisi e risate, con Paolo che faceva da animatore. Dall’altra parte del colonnello, seduta a tavola, c’era Loredana, una vedova florida e ben pettinata, con un vestito ricamato che metteva in risalto le sue generose curve. Anche lei corteggiava Giovanni da tempo, regalandogli ogni tanto dei cannoli fatti in casa. Lui, educato, ringraziava sempre:
“Davvero squisiti.”
Ma quella sera, tra un bicchiere e l’altro, Giovanni sembrò accorgersi di Elisabetta. Quando si alzarono per ballare, lui la precedette, lasciando Loredana a bocca asciutta.
“Lei viene con me,” annunciò, prendendola per mano con decisione.
Elisabetta, il cuore in gola, si lasciò guidare. Lui ballava con passo sicuro, quasi marziale, e tra una svolta e l’altra la stringeva leggermente, sussurrandole parole dolci all’orecchio.
“*Che braccia forti… che sorriso… non l’avevo mai visto sorridere così!*” pensava lei, rapita.
Loredana, intanto, li fissava torva. “*Eccola, la snob, che gli fa gli occhi dolci! Ma chi crede di essere? Io l’ho corteggiato per mesi!*”
Giovanni, però, non vedeva altro che Elisabetta. “*Pensavo di essere ormai un pezzo di legno,*” rifletteva. “*Invece eccomi qui, col sangue che ribolle…*”
Verso la fine della serata, lui le propose di accompagnarla a casa. Scendendo le scale, le chiese persino:
“Perché non passiamo da me un momento?”
“Meglio un’altra volta,” rispose lei, con prudenza.
L’aria era tiepida, profumata di gelsomino. Si fermarono a chiacchierare, poi lui la riaccompagnò davanti alla sua porta. Fu allora che Elisabetta, quasi senza pensarci, gli disse:
“Vuoi entrare per un caffè?”
Lui annuì, sorridendo.
Quando Concetta e Paolo li videro uscire insieme, si scambiarono un’occhiata complice.
“Pare che il colonnello abbia ancora del fuoco nelle vene,” commentò Paolo, ridendo. “Voi donne lo credevate finito, eh?”
Ora Elisabetta e Giovanni vivono felici, passeggiano mano nella mano, e tutti ne sono contenti. Tutti, tranne Loredana. Scoprì, infatti, che il colonnello sapeva essere dolcissimo.