Nella stanza dospedale giaceva un bambino di otto anni. Tutti avevano ormai perso ogni speranza di salvarlo, quando accadde linaspettato.
“Lo so come salvare vostro figlio,” sussurrò piano un ragazzino, la cui età non corrispondeva alla saggezza delle sue parole. Quello che accadde dopo sconvolse persino un professore con anni di esperienza.
Nel reparto di oncologia pediatrica, le pareti sembravano prendere vitaanimali colorati dei cartoni animati saltellavano sui muri, mentre il soffitto era decorato con soffici nuvole che creavano unillusione di sicurezza e calore.
I raggi del sole giocavano tra le tende, riempiendo la stanza di una luce carica di speranza, ma dietro quella facciata si nascondeva un silenzio opprimentequello che regna dove ogni respiro è una battaglia.
Stanza 308un mondo di preghiere silenziose e sogni accarezzati.
Lì, in piedi, cera il dottor Luca Ferraro, un rispettato oncologo pediatrico che aveva salvato molte vite, ma ora era solo un padre esausto.
Suo figlio, lottantenne Matteo, lottava contro una forma acuta di leucemia mieloide che lo indeboliva giorno dopo giorno. Tutti i trattamentichemioterapia, consulti con i migliori specialistierano risultati inutili.
In quel momento di disperazione irruppe Micheleun ragazzino di dieci anni con scarpe da ginnastica consumate e una maglietta troppo grande, il badge da volontario appeso al collo.
Con sicurezza spiegò: “Io so cosa serve a Matteo.” Luca inizialmente scartò le sue parole, credendole ingenuità infantile. Ma Michele non si arrese, si avvicinò al letto e sfiorò la fronte del piccolo paziente.
Allimprovviso, Matteo si mosse, le dita tremaronoun miracolo che sembrava impossibile. Ma il vero shock doveva ancora arrivare.
Il medico reagì con ironia cautacome poteva un semplice bambino sapere più di un medico esperto?
Michele però non se ne andò. Prese la mano di Matteo e sussurrò parole che non erano una cura nel senso tradizionale, ma piuttosto un richiamo alla voglia di vivere.
In quel momento accadde qualcosa di straordinario: per la prima volta da settimane, Matteo mosse lentamente le dita, poi aprì gli occhi e mormorò: “Papà”. Un attimo che parve un miracolo.
Quando Luca chiese informazioni al personale, scoprì che Michele non era più con loro da tempoil ragazzino era morto un anno prima, dopo una lunga lotta contro la malattia. I medici lo chiamavano “langelo dormiente”, che un giorno si era svegliato per ispirare tutti con un miracolo di guarigione.
Nei giorni seguenti, Matteo cominciò a miglioraresorrideva, chiedeva abbracci, giocava. La malattia entrò in remissione, e presto il bambino fu dimesso.
Passò del tempo, e Luca ricevette una lettera senza mittentedentro cera una foto di Michele che teneva in braccio un agnello, e un biglietto: “La vera guarigione non è sempre la completa ripresa. A volte è il ritorno della voglia di vivere.”
Quella storia cambiò per sempre il modo di Luca di vedere la medicina e la vita: i farmaci curano il corpo, ma solo la fede, lamore e la speranza danno la forza per combattere.