Nella stanza dospedale giaceva un bambino di otto anni: tutti avevano ormai perso ogni speranza, quando accadde qualcosa di inaspettato.
«Io so come salvare vostro figlio», sussurrò un ragazzino la cui età non combaciava affatto con la saggezza delle sue parole. Quel che successe dopo lasciò senza fiato persino un professore con anni di esperienza.
Nel reparto di oncoematologia pediatrica, le pareti sembravano prendere vitaanimaletti colorati dei cartoni animati saltellavano sui muri, e il soffitto era decorato con soffici nuvole che creavano lillusione di sicurezza e calore.
I raggi del sole giocavano tra le tende, riempiendo la stanza di una luce di speranza, ma dietro quella facciata si nascondeva un silenzio opprimentequello che regna dove ogni respiro è una battaglia.
Stanza 308un mondo di preghiere mute e speranze inconfessate.
Lì cera il dottor Lorenzo De Luca, un rispettato oncologo pediatrico che aveva salvato tante vite, ma ora era solo un padre esausto.
Suo figlio Matteo, di otto anni, combatteva contro una forma acuta di leucemia mieloide che lo indeboliva giorno dopo giorno. Ogni tentativochemioterapia, consulti con i migliori specialistisi era rivelato inutile.
In quel vuoto di speranza irruppe Nicoun ragazzino di dieci anni con le scarpe da ginnastica consumate, una maglietta troppo larga e un tesserino da volontario appeso al collo.
Con sicurezza dichiarò: «Io so cosa serve a Matteo». Lorenzo inizialmente lo ignorò, credendo fosse solo lingenuità di un bambino. Ma Nico non si arrese, si avvicinò al letto e sfiorò la fronte del piccolo paziente.
Improvvisamente, Matteo si mosse, le dita gli tremaronoun miracolo che sembrava impossibile. Ma la vera sorpresa doveva ancora arrivare.
Il medico reagì con ironia cautacome poteva un semplice ragazzino saperne più di un medico esperto?
Ma Nico non se ne andò. Prese la mano di Matteo e sussurrò parole che non erano una cura tradizionale, ma piuttosto un ricordo della voglia di vivere.
In quel momento accadde limpensabile: per la prima volta da settimane, Matteo muoveva lentamente le dita, poi aprì gli occhi e mormorò: «Papà». Fu un attimo che sembrò un miracolo.
Quando Lorenzo chiese al personale, scoprì che Nico non lavorava più lì da tempoil ragazzo era morto un anno prima, dopo una lunga lotta contro la malattia, e i medici lo chiamavano «langelo dormiente», che un giorno si era svegliato per ispirare guarigioni miracolose.
Nei giorni seguenti, Matteo cominciò a riprendersisorrideva, chiedeva abbracci, giocava. La malattia entrò in remissione, e presto il bambino fu dimesso.
Passò del tempo, e Lorenzo ricevette una lettera senza mittente: dentro cera una foto di Nico che teneva in braccio un agnello, e un biglietto: «La vera guarigione non è sempre la completa ripresa. A volte, è la rinascita della voglia di vivere».
Quella storia cambiò per sempre il modo di Lorenzo di vedere la medicina e la vita: le medicine curano il corpo, ma solo la fede, lamore e la speranza danno la forza di lottare.