Domenico guarda dalla finestra del suo nuovo appartamento in provincia di Roma, e gli sembra che l’aria fuori si sia fatta più pesante. Come se stesse affogando nella propria vita. Tutto ciò che prima gli pareva solido e duraturo, ora è crollato. Fissa il cielo grigio e, per la prima volta dopo tanto tempo, capisce che per lui non c’è più possibilità di tornare indietro.
Una volta aveva una famiglia. Sabrina, sua moglie, con cui aveva condiviso quindici anni. Una donna fedele, tranquilla, dedita alla casa. Due figlie, il calore domestico, una villetta in campagna, un’attività di famiglia. Tutto era perfetto, stabile… e dolorosamente prevedibile. Ogni mattina era uguale. Conversazioni sulla routine, preoccupazioni per il mutuo e le scuole. Domenico si sentiva intrappolato nella propria casa, come in una gabbia, anche se dorata.
Poi un giorno, nel loro studio di architettura, arrivò una nuova impiegata: Viola. Giovane, audace, piena di vita. Rideva alle sue battute, lo guardava con ammirazione, gli sfiorava la spalla con naturalezza. Domenico sentiva risvegliarsi dentro di lui qualcosa di dimenticato: l’entusiasmo, l’interesse, la sensazione di essere di nuovo giovane. Cominciò a tornare a casa più tardi, a scomparire dall’ufficio. Sabrina non faceva domande, e lui quasi la ringraziava per questo: meno discussioni, meno rimproveri.
Ma nulla di tutto questo era casuale. Viola sapeva cosa voleva. E voleva Domenico. Cominciarono a restare soli sempre più spesso, a incontrarsi fuori dall’ufficio, a condividere pranzi, chiacchiere, poi il letto. Senza quasi rendersene conto, quella passione diventò realtà. E un giorno, schiacciato dal peso della doppia vita, fece le valigie e se ne andò.
Sabrina lo accolse con un silenzio calmo. Nessuno scandalo, nessuna scena. Lo fissò negli occhi e disse solo:
«Ricorda questo giorno, Dodo. L’hai scelto tu.»
All’inizio, la vita con Viola sembrò una festa. Era affettuosa, sorridente, appassionata. Lui si sentiva desiderato, interessante, importante. Ma presto la magia svanì. Viola divenne esigente, irritabile, lo accusava di non dedicarle abbastanza tempo, di non guadagnare abbastanza, di passare le serate al computer. Ed ecco che, per la prima volta, gli venne voglia di tornare… là da dove era fuggito.
L’occasione si presentò da sola: Sabrina lo chiamò per chiedergli di portare le figlie alla casa in campagna per qualche giorno. Accettò, sperando di sfuggire, anche solo per poco, alla nuova vita che cominciava a soffocarlo. Con le bambine passò tre giorni. Ridevano, preparavano dolci, andavano in bicicletta. Si stupì di quanto fosse semplice e felice quel tempo. E per la prima volta da mesi, sentì un dolore al petto: la nostalgia di ciò che aveva perso con tanta leggerezza.
Chiamò Sabrina. Voleva parlare, spiegarsi, tornare. Lei lo ascoltò. Poi rispose:
«Le condizioni sono semplici. Finisci tutto con Viola. Te ne vai. Ricominci da zero. Ma sappi che non ci sarà più fiducia. Sarà una vita nuova, non quella di prima.»
Non rispose subito. Tutto gli sembrava troppo drastico. Troppo definitivo. Poi Viola gli disse di essere incinta. Lui rimase in silenzio. Alla fine mormorò: «Sarò padre…»
La gioia si mescolò al panico. Non era sicuro di amarla. Non sapeva se quel bambino fosse una salvezza o una condanna definitiva. Sentiva che tutto ciò che nasceva da un tradimento non poteva essere solido. Era lacerato tra due mondi: tra le figlie e il futuro figlio, tra Sabrina e Viola, tra il passato che aveva tradito e un presente che lo spaventava.
Si incontrarono con Sabrina al parco. Le raccontò tutto, apertamente, senza abbellimenti. Le chiese perdono. Lei tacque a lungo, poi disse:
«Dodo, ora è tutto chiaro. Sai? Mi sento sollevata. Tu avrai un figlio. Io avrò una vita nuova. Non c’è ritorno. Non perché ti odio, ma perché amo me stessa.»
Domenico si alzò, la guardò. Forte, calma, matura. Completamente diversa. E improvvisamente capì: aveva perso tutto. Da solo. Volontariamente. E ora non aveva più un posto dove andare. Solo avanti, lungo la strada che aveva scelto. Anche se conduceva nel nulla.