14 ottobre 2025
Oggi sono tornato a casa tardi, quasi le dieci, e non vedevo lora di sistemarmi in quel piccolo appartamento al terzo piano di una palazzina in Via San Michele, a Bologna. Il giorno è stato una maratona: il marito di Giulia, Francesco, era già a casa, la cena sul tavolo, il nostro figlio di dodici anni, Marco, aveva già mangiato. Giulia aveva appena finito il turno in un salone di parrucchieri del centro e, chiudendo, aveva attivato lallarme e chiuso a chiave la porta prima di uscire.
Il tragitto per tornare a casa passa per una piazzetta tranquilla, solitamente frequentata da pensionate sui panche di legno durante il giorno e vuota la sera, illuminata solo dai lampioni. Stasera però una panchina non era più deserta. Un ragazzino di circa dieci anni, con i capelli arruffati, e una bambina, non più di cinque, erano rannicchiati luno accanto allaltro. Ho rallentato il passo e mi sono avvicinato.
Che ci fate qui così soli? È già tardi! Andiamo a casa!
Il bambino mi ha guardato, ha accarezzato la testa della sorellina e lha stringuta più forte.
Non abbiamo dove andare. Il patrigno ci ha cacciati.
E la mamma?
È con lui. Ubriaca.
Senza esitazione, ho allungato la mano.
Su, venite da me. Domani vedremo come risolvere tutto.
I due bambini si sono alzati timidamente. Ho preso la piccola, che si chiama Cinzia, per mano e ho offerto il braccio a Luca, il fratellino.
Li ho portati a casa e ho spiegato la situazione a Francesco e a Marco. Conoscono bene il cuore generoso di Giulia e, senza fare domande, hanno subito mostrato dove i bambini potevano lavarsi e li hanno fatti sedere a tavola. Affamati, hanno mangiato tutto quello che gli ho dato, con un appetito timido ma sincero.
Poi ho bussato alla porta della vicina, la signora Rosa, la cui figlia frequenta la prima elementare, e le ho chiesto qualche vestito per Cinzia. Sono arrivate molte cose: in ogni famiglia, dopo gli anni dei figli, rimane sempre qualcosa da condividere. Ho poi lavato Cinzia, lho vestita con vestiti puliti. Luca si è lavato da solo, e anche a lui la signora Rosa ha trovato della roba da riciclare.
I due piccoli hanno dormito sul divano del soggiorno: Cinzia non lasciava il fratello più di un passo, e Luca la teneva stretta fra le braccia. Esausti, si sono addormentati subito sul letto pulito. Ho mandato Marco nella sua stanza e, insieme a Francesco, abbiamo chiacchierato a lungo in cucina, cercando di capire cosa fare dopo.
La mattina successiva mi sono alzato presto, ho accompagnato Francesco al lavoro e mi sono preparato per il mio turno di pomeriggio. I bambini si sono svegliati, li ho nutriti di nuovo, ho raccolto i loro panni appena lavati e li ho messi in una borsa per portarli a casa. Quando siamo arrivati allappartamento, la porta al terzo piano era aperta. I due hanno entrato e si sono fermati, paralizzati, nel corridoio.
Sono rimasto lì, a guardare la loro paura, e ho sentito il desiderio di guardare negli occhi la loro madre, di chiedere cosa avesse pensato tutta la notte, mentre i suoi figli erano rimasti soli, senza sapere dove andare.
Una donna giovane ma visibilmente spaventata, con una cicatrice sotto locchio, è uscita dalla stanza. Ha lanciato uno sguardo indifferente ai bambini e ha balbettato:
Ah sono venuti chi è questa?
È la zia Giulia. Abbiamo dormito da lei ha risposto Luca.
Ah bene ha mormorato, tornando nella sua stanza. Mi sono chiesto: era davvero la loro madre?
Ma la donna è ricornata verso di me.
Vieni in cucina, parliamo.
Ho seguito il suo passo. Nonostante lappartamento fosse modesto, tutto era impeccabilmente pulito: piatti lucidi, pavimenti brillanti, vestiti ordinati. Anche il mio vecchio camice era pulito, nonostante i bottoni mancanti. Si è seduta di fronte a me, mi ha fissato con quellocchio stanco e ha chiesto:
Hai dei figli?
Sì, Marco, dodici anni.
Ascolta se qualcosa mi capiterà, per favore non abbandonare i miei bambini. Non hanno colpa di nulla.
Stai pensando di lasciarli? ho chiesto, sorpreso.
Non resisto più. Ho provato a fermarmi più volte, ma non riesco. Lui ha indicato la stanza da cui proveniva un forte russare è sempre più violento, anche senza alcol. Lo batte, li porta fuori dalla porta, son figli che non sono suoi. Il padre è morto, annegato, quando Cinzia aveva un anno. Da allora viva da sola. Non ho più lavoro: facevo la commessa in un negozio, ma la hanno licenziata per assenze. Il marito fa piccoli lavori qua e là.
È rimasta in silenzio per un po’, poi ha ribadito:
Se succede qualcosa, ti prego, non lasciarli. Tu sei buona. Se non potrai accoglierli, portali in un rifugio.
Il suo racconto mi ha colpito come un pugno. Sembrava tutto un incubo. I bambini sono usciti, si sono avvicinati e mi hanno abbracciato. Le lacrime mi sono rigate il viso; le ho asciugate con la manica e ho detto a Luca che sapeva dove trovarci.
Sono uscito di corsa, le lacrime mi hanno allagato le guance, facendo voltare gli astanti. Quella sera ho riferito tutto a Francesco; non ha fatto domande, ha solo promesso che i bambini non sarebbero mai stati abbandonati. Marco, sentendo la discussione, è venuto e li ha abbracciati entrambi. Così siamo rimasti tutti in cucina, in silenzio, stretti luno allaltro.
Tre giorni dopo, Luca è tornato di corsa: la madre era sparita, il patrigno era stato arrestato dalla polizia. Cinzia è stata affidata alla vicina, ma la stessa sera dovevano portarli al rifugio. Il giorno dopo, il loro corpo è stato trovato nel fiume; la morte violenta sembrava preannunciata dalla sua disperazione.
Giulia, Francesco e io abbiamo iniziato le pratiche per laffido. Non cerano parenti per Luca e Cinzia, e grazie alla testimonianza della madre, il tribunale ha accettato di affidare loro la nostra cura.
Ho lasciato il lavoro. Cinzia è rimasta molto spaventata, fidandosi solo di Luca, temendo ogni suono nel nostro appartamento. È stato necessario tanto tempo e pazienza per guadagnare la sua fiducia. Luca, più grande, ha capito rapidamente che nella nostra casa non cè posto per la paura.
Con il tempo, Cinzia si è aprita. Ha iniziato a giocare con Marco, a sorridere, a parlare, anche se ancora guardava Francesco con un certo timore. Ho cercato di trattarla con delicatezza, sapendo che il suo vissuto laveva resa diffidente verso gli uomini più grandi.
Quando sono tornato dal viaggio di tre giorni, Giulia e Cinzia erano lì ad aspettarmi. Luca ha preso la piccola per mano, lha stretta al collo, e insieme siamo entrati nella cucina. Vedere la loro felicità mi ha scaldato il cuore; tutti noi ci siamo abbracciati, senza parole, solo con il calore di un gesto.
Questa esperienza mi ha insegnato che lamore non è solo un sentimento, ma una scelta quotidiana di proteggere, di accogliere e di non voltarsi mai indietro di fronte al dolore altrui. È la responsabilità più grande che possiamo avere, e il valore più prezioso che possiamo trasmettere.






