„No, Mamma. Non ci verrai più a trovare. Né oggi, né domani e nemmeno il prossimo anno” — una storia di pazienza ormai esaurita.

«No, mamma. Non tornerai più a trovarci. Né oggi, né domani, né nemmeno lanno prossimo» così inizio a ricordare la storia di una pazienza ormai spezzata.

Mi ci vollero anni a capire come aprire quel racconto, ma mi tornavano sempre in mente solo due parole: sfacciataggine e tacito consenso. La prima apparteneva alla suocera, la seconda al marito. E nel mezzo cero io, una donna che cercava di essere gentile, riservata e cortese. Fino al giorno in cui compresi che, se avessi continuato a tacere, la nostra casa sarebbe rimasta solo una vuota corazza.

Non riuscivo a capire come si potesse entrare in una casa altrui e prenderne ciò che non appartiene a nessuno come se tutto fosse di diritto. La suocera agiva esattamente così, e lo faceva per sua figlia, la sorella di mio marito.

Ogni sua visita si concludeva con del cibo sparito dal congelatore, una pentola di polpette rimossa dal fuoco o persino il mio nuovo ferro arricciacapelli. Non lavevo ancora usato una volta lei lo prendeva semplicemente. I capelli di Benedetta sono così ricci, e tu rimani sempre a casa, mi diceva poi.

Sopportai tutto fino alla prova finale, quella prima del nostro quinto anniversario di matrimonio. Volevamo festeggiare come una volta, in un ristorante di Napoli. Avevo già scelto labito, ma mi mancavano le scarpe giuste. Così le comprai: eleganti, costose, quelle che sognavo da estate scorsa. Le posai in una scatola nella camera da letto, pronte per il grande giorno.

Il destino, però, non era dalla nostra parte.

Quel pomeriggio dovetti lavorare più a lungo e chiesi a mio marito di andare a prendere la nostra figlia, Lia, allasilo. Accettò, ma poi dovette occuparsi di un impegno e chiamò sua madre. Le consegnò la chiave di casa, così da poter prendere Lia e stare con noi.

Quando tornai, mi diressi subito alla camera e rimasi colta da un gelo. La scatola delle scarpe era sparita.

«Marco, dove sono le mie scarpe nuove?», dissi, già aspettandomi la risposta.

«Come dovrei saperlo?», scrollò le spalle.

«È stata tua madre qui?»

«Sì, ha preso Lia e ha aspettato un po».

«E la chiave?» cercai di mantenere la calma.

«Glielho data, cosa altro avrei dovuto fare?»

Presi il telefono e la chiamai. Rispose subito.

«Buona sera», dissi con tono fermo. «Sono sicura che sa perché la sto chiamando».

«No, non lo so», rispose senza alcun imbarazzo.

«Dove sono le mie scarpe nuove?»

«Le ho date a Benedetta. Hai già troppe scarpe e lei non le servirà per il ballo di fine anno».

Chiuse il chiamata senza scuse, senza rimorso, con un semplice click.

Marco, come al solito, mi disse: «Ne compriamo unaltra, non ti arrabbiare. È solo la mamma».

Lo presi per il braccio e lo portai al centro commerciale. Davanti alla vetrina indicai il paio che avevo ammirato online da mesi quelle scarpe che, a guardarle, gli facevano quasi fermare il cuore.

«Luca, è la metà del mio stipendio!», esclamò quando vide il prezzo.

«Hai detto che le compravamo, allora le compriamo», replicai con calma.

Acquistò le scarpe, pagando quasi il prezzo del suo silenzio.

Ma la storia non finì lì. Sulla via di casa ricevette un messaggio dalla madre:

«Passo oggi. Ho sacchi di verdure, non cè più spazio nel congelatore. Le lascio da voi, le ritiro tra un paio di mesi».

Lo vidi fissare lo schermo, stringere le labbra. Per la prima volta al mondo, compose il suo numero e, con decisione, disse:

«Mamma, non tornerai più a casa nostra. Né oggi, né domani, né tra un anno. Lultima tua cortesia ci è costata troppo».

Riattaccò. Guardandolo, sentii per la prima volta in anni che eravamo davvero una famiglia. Una famiglia le cui porte non erano aperte ai ladri, ma solo a chi meritava rispetto.

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