«Oh, no, Matteo, tua madre non vivrà con noi» — avevo messo un ultimatum a mio marito.
In un piccolo borgo vicino a Verona, dove il crepuscolo porta quiete, la mia idillio familiare, a trent’anni, era minacciato dalla suocera. Mi chiamo Elisabetta, sono sposata con Matteo, e ieri gli ho detto senza mezzi termini: se sua madre fosse venuta a vivere con noi, avrei chiesto il divorzio. Mi ero sposata con un vestito rosso, e mia suocera sapeva che non ero il tipo da stare zitta. Ma il suo comportamento mi aveva spinta al limite, e non potevo più sopportarlo.
**L’amore messo alla prova**
Quando conobbi Matteo, avevo ventiquattro anni. Era un uomo affidabile, con un sorriso sincero che mi faceva battere il cuore. Ci sposammo due anni dopo, ed ero certa che avremmo costruito una vita felice. Mia suocera, Maria Giovanna, al matrimonio sembrava dolce: mi abbracciava, mi augurava ogni bene, anche se notai il suo sguardo obliquo sul mio vestito rosso. «Elisabetta, sei coraggiosa», mi disse allora, e pensai fosse un complimento. Ma più tardi capii: in me vedeva una minaccia.
Vivevamo in un bilocale che avevamo comprato insieme. Nostro figlio, Alessandro, di quattro anni, era la nostra gioia. Io lavoravo come marketer, Matteo faceva l’operaio edile, e ci dividevamo sempre i doveri. Ma un anno fa, Maria Giovanna rimase vedova, e la sua vita divenne parte della nostra. Prima veniva in visita, poi cominciò a fermarsi la notte, e ora pretendeva di trasferirsi da noi per sempre. La sua presenza era come un’ombra che spegneva la luce di casa nostra.
**La suocera che rovina tutto**
Maria Giovanna era una donna prepotente. Non dava consigli, imponeva. «Elisabetta, non nutri bene Alessandro», «Matteo, sei troppo debole con tua moglie», «La casa è sporca, che razza di padrona sei?» — le sue parole tagliavano come lame. Tentavo di sopportare, di sorridere, ma lei non si fermava. Spostava le mie cose, criticava i miei piatti, educava Alessandro secondo le sue regole, ignorando le mie. Mi sentivo un’ospite nella mia stessa casa.
L’ultima goccia fu la sua decisione di trasferirsi. «Sono anziana, è dura stare sola, voi giovani potete farcela», dichiarò la settimana scorsa. Matteo tacque, mentre io sentivo ribollirmi la rabbia. Aveva un appartamento nello stesso paese, era in salute, percepiva la pensione, ma voleva vivere con noi per controllare ogni nostro passo. Immaginavo già i suoi ordini quotidiani, Alessandro crescere sotto la sua influenza, il nostro matrimonio incrinarsi per i suoi interventi. Non potevo permetterlo.
**L’ultimatum che cambiò tutto**
Ieri, dopo che Alessandro si era addormentato, mi sedetti con Matteo in cucina. Le mani mi tremavano, ma dissi: «Matteo, tua madre non vivrà con noi. Altrimenti chiederò il divorzio. Scusami subito, non scherzo». Mi guardò come se non mi riconoscesse. «Elisabetta, è mia madre, come posso cacciarla?», rispose. Gli ricordai che mi ero sposata in rosso, che avevo promesso di essere onesta e forte. «Non voglio perdere la nostra famiglia, ma non vivrò con tua madre», ripetei.
Matteo rimase a lungo in silenzio, poi disse che ci avrebbe pensato. Ma nei suoi occhi vidi il dubbio. Mi amava, ma il legame con sua madre era una catena che lo tratteneva. Maria Giovanna aveva già insinuato che «una nuora così non l’aveva mai voluta», e sapevo che l’avrebbe messo contro di me se non avessi ceduto. Ma non avrei ceduto. Non volevo che mio figlio crescesse in una casa dove sua madre era solo l’ombra della suocera.
**Paura e speranza**
Avevo paura. Paura che Matteo avrebbe scelto sua madre invece di me. Paura che un divorzio mi avrebbe lasciata sola con Alessandro, in un paese dove sarei stata «quella che ha lasciato il marito». Ma ancor più temevo di perdere me stessa. Le mie amiche mi dicevano: «Elisabetta, resisti, hai ragione». Mia madre, sapendolo, mi aveva sostenuta: «Non devi tollerare». Ma la scelta spettava a me, e sapevo: se avessi ceduto allora, Maria Giovanna avrebbe governato la nostra vita per sempre.
Diedi a Matteo una settimana per riflettere. Se non avesse fissato dei limiti con sua madre, avrei cercato un avvocato. Il mio vestito rosso alle nozze non era stato un capriccio: era stato il simbolo della mia forza, della mia volontà di lottare. Amavo Matteo, amavo Alessandro, ma non mi sarei sacrificata per una suocera che in me vedeva solo un ostacolo.
**Il mio grido di libertà**
Questa storia è il mio diritto a essere padrona del mio destino. Maria Giovanna forse non voleva male, ma il suo controllo stava distruggendo la mia famiglia. Matteo forse mi amava, ma la sua indecisione era un tradimento. A trent’anni, volevo vivere in una casa dove la mia voce contava, dove mio figlio vedeva una madre forte, dove il mio amore non soccombeva alla suocera. Che questo ultimatum fosse la mia salvezza — o la mia fine.
Io sono Elisabetta, e non permetterò a nessuno di offuscare la mia vita. Anche se dovessi andarmene, me ne andrò a testa alta, come in quel vestito rosso che aveva tanto irritato mia suocera.