Non avrei mai pensato che mia nonna fosse capace di una cosa del genere! Fino a quando continuerà a tenerci in sospeso?

Negli ultimi mesi, la nostra famiglia sembra essere intrappolata in un incubo senza fine. Ogni telefonata, ogni incontro è carico di tensione, perché sappiamo tutti che mia nonna ha di nuovo cambiato il testamento. Scrive, cancella, strappa fogli, riscrive da capo. Un giorno giura che lascerà tutto a mia madre, il giorno dopo cambia idea e inserisce un altro nome. Sembra quasi divertirsi nel vederci dubitare, nell’osservarci con sospetto, come se fossimo pedine in un gioco crudele di cui lei sola conosce le regole.

Io non ho mai desiderato nulla da lei. Non ho mai pensato all’eredità, non mi è mai importato. Ma vedere la nostra famiglia sgretolarsi, vedere il veleno che si insinua tra di noi, è qualcosa che non riesco più a sopportare. Un tempo eravamo uniti, condividevamo i momenti felici, ci aiutavamo a vicenda. Ora? Ora ci guardiamo con diffidenza, come se fossimo rivali in una competizione silenziosa. Chi sarà il prossimo a essere cancellato dal testamento? E mia nonna? Lei ci guarda, soddisfatta, come se fosse la regista di un dramma di cui tutti noi siamo inconsapevoli attori.

Non è mai stata una persona facile. Pretendeva rispetto, ma non lo ricambiava. Parlare con lei non era mai una conversazione, era un processo, un’interrogazione continua, una battaglia per dimostrare chi aveva ragione. E con il passare degli anni è diventata sempre più amara, più dura. Ogni telefonata finiva con le solite accuse:
“Mi avete dimenticata!”
“Sono sola, nessuno si prende cura di me!”
“Un giorno vi pentirete di come mi avete trattata!”

Ma come si può prendersi cura di qualcuno che respinge tutti?

Mia madre ha cercato per anni di essere una figlia devota. Le ha inviato denaro, si è preoccupata per lei, ha fatto del suo meglio per starle vicino. Ma mia nonna? Prendeva tutto come se fosse un suo diritto, senza mai dire grazie, senza mai riconoscere il sacrificio degli altri. Per lei, il mondo le doveva qualcosa. L’ho capito da bambino: con lei non si poteva discutere. Aveva sempre ragione, e chi osava contraddirla diventava un nemico.

L’unico che riusciva a calmarla era mio nonno. Lui sapeva come parlarle, come evitare che ogni discussione si trasformasse in una guerra. Ma quando lui è morto, nessuno è più riuscito a fermarla. Inizialmente sembrava distrutta dal dolore, diceva che non aveva più ragione di vivere. Ma poi qualcosa in lei è cambiato. La tristezza si è trasformata in rancore.

Se lei soffriva, allora tutti dovevano soffrire con lei.

La prima vittima è stato mio zio, il fratello di mia madre. Non ha mai chiesto nulla a mia nonna. Si era costruito una vita da solo, con il proprio lavoro, senza mai dipendere da lei. Forse è stato proprio questo a farla infuriare. Non aveva potere su di lui. Non poteva controllarlo. Così ha deciso di colpirlo in un altro modo. Per anni lo ha umiliato, lo ha sminuito, gli ha rinfacciato ogni piccola cosa.

Eppure lui continuava a farle visita. Forse per dovere. Forse per pietà.

Ma non poteva durare.

Ogni telefonata finiva in lite.

Ogni visita era un’altra occasione per ferirlo.

E la cosa più assurda?

Mio zio non voleva nulla da lei! Non gli interessava l’eredità, non aveva bisogno dei suoi soldi. Eppure, un giorno, mia nonna lo chiamò solo per dirgli:
“Non avrai niente! Ho deciso così!”

Fu l’ultima volta che si parlarono.

Non la cercò mai più. E io lo capisco.

Poi venne il turno di mia madre.

Una sera, mia nonna la chiamò con una voce debole e tremante.
“Sto male,” sussurrò. “Nessuno si occupa di me. Sono sola.”

Mia madre si spaventò. Le inviò immediatamente del denaro per comprare le medicine, per assicurarsi che avesse tutto il necessario.

Ma mia nonna non voleva soldi.

Voleva che mia madre abbandonasse tutto – lavoro, casa, famiglia – e andasse a vivere con lei, per prendersene cura.

Mia madre non poteva farlo. Aveva una vita sua, delle responsabilità. Cercò di spiegarlo con gentilezza, con calma.

E fu allora che scoppiò l’inferno.

Mia nonna iniziò a urlare.

La chiamò ingrata.

Una figlia senza cuore.

Una vergogna per la famiglia.

Mia madre tentò di calmarla, ma era impossibile. Mia nonna riattaccò e non le parlò per mesi.

Eppure, mia madre continuò a prendersi cura di lei. Continuò a inviarle denaro, a preoccuparsi per la sua salute.

E poi, un giorno, mia nonna annunciò:
“Ho deciso. Tutto quello che possiedo sarà tuo.”

Scrisse un nuovo testamento. Lo mostrò perfino a mia madre.

Ma noi sapevamo.

Sapevamo che non sarebbe durato.

E avevamo ragione.

Dopo qualche mese, un’altra discussione. Il testamento? Strappato. Riscritto. Con nomi nuovi. Persone con cui non aveva ancora litigato. Ma sarebbe successo presto.

E poi, toccò a me.

Per molto tempo ho ignorato le sue battute, le sue frecciatine velenose. Mi dicevo che era solo una donna anziana, sola e arrabbiata.

Ma un giorno si rivolse contro di me.

E qualcosa dentro di me si ruppe.

Presi il telefono e le dissi la verità.

Le dissi che avevo chiuso.

Non mi importava del testamento. Non mi importava della casa, dei soldi. Poteva lasciare tutto a chi voleva – io non volevo niente da lei.

Non ero in debito con lei.

E in quel momento, per la prima volta dopo anni, mi sentii libero.

Non mi importava più chi avrebbe ereditato.

Non mi importava più chi avrebbe litigato per i suoi beni.

Avevo finalmente capito una cosa:

Non ero mai stato il suo erede.

Ero il suo prigioniero.

Ma adesso, finalmente, sono libero.

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