Non chiamare mai dopo le nove

Giovanna Bianchi aveva appena indossato la camicia da notte e cominciava a intrecciare i capelli quando il telefono squillò. Suoni aguzzi lacerarono il silenzio dell’appartamento, facendola sobbalzare. L’orologio segnava le ventidue e trenta.

“Pronto?” Nell’auricolare, solo un vuoto. “Pronto, chi parla?”

“Mamma?” Una voce?”Mamma?” Una voce appena percettibile, soffocata.

“Chiara? Che è successo? Lo sai che odio le chiamate a tardi!” Giovanna afferrò il ricevitore stringendolo. “Stai bene?”

“Sì… no… Mamma, posso venire subito da te?”

Qualcosa nel tono gelò il sangue a Giovanna. Chiara non chiedeva mai aiuto, orgogliosa della sua indipendenza.

“Certo, vieni. Ma cosa è successo?”

cioè no… Mamma, posso venire da te?”

“Vengo ora. Te lo dico poi.”

Il segnale di linea morta. Giovanna rimase immobile col telefono in mano, poi posò l’apparecchio e accese il bollitore. Chiara abitava a Quartiere Navona, quaranta minuti d’autobus senza traffico. Sarebbe arrivata entro un’ora.

Tirò fuori le tazze buone dalla credenza, quelle per gli ospiti, affettò un limone, dispose biscotti savoiardi su un su un piatto. Le mani le tremavano leggere – una premonizione oscura non la abbandonava.

Chiara arrivò prima del previsto. Sulla soglia, gli occhi gonfi e i capelli scompigliati, stringeva una borsa da palestra.

“Figlia mia…” Giovanna l’abbracciò, sentendola tremare. “Entra, entra. Ho preparato il t
E mentre la luna filtrava attraverso le persiane, Maria Rossini sentì il cuore sciogliersi in un sorriso silenzioso, riconoscendo che la notte, per una volta, aveva tessuto un miracolo anziché un incubo.

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