Oggi scrivo di Caterina, che adorava le telenovelas. Credeva che la vita vera potesse essere altrettanto vivace, con colpi di scena, passioni travolgenti e lieto fine. Ma la sua realtà era diversa: grigia, monotona e solitaria. Viveva in un paesino vicino a Verona, e nemmeno il matrimonio aveva portato la felicità che sognava da ragazza.
Vittorio, suo marito, inizialmente sembrava affettuoso e affidabile. Ma dopo tre anni di matrimonio, un giorno sbottò:
— Me ne vado. Non ce la faccio più qui. È soffocante. Io sono fatto per la grande città, Caterina.
— Come sarebbe? Stavamo bene insieme.
— Tu stavi bene. Io no. — Tagliò corto, infilò due camicie in una vecchia borsa e se ne andò senza voltarsi.
Nel paesino i pettegolezzi volarono in un attimo.
— Vittorio ha lasciato Caterina ed è scappato a Mantova. Ci sarà sicuramente un’altra donna.
Lei non disse nulla. Non pianse, non si lamentò. Continuò a vivere. A casa dei genitori non c’era posto per lei: suo fratello, la moglie e i loro quattro figli occupavano ogni angolo. Figli, lei non ne aveva.
— Forse è stato un bene. Con un uomo come Vittorio non sarebbe stato un buon padre.
La sera si sedeva davanti alla televisione, incollata alle telenovelas: tradimenti, amori, drammi. Le storie le bruciavano il cuore. Dopo quelle visioni, la notte non riusciva a dormire.
Al mattino, la solita routine: maiali, oche, galline, e il vitellino Toto. Non era in stalla, lo teneva legato dietro l’orto. Una volta la vicina gridò:
— Caterina, il tuo vitello è scappato e sta girovagando per il paese!
Corse fuori e vide Toto che cozzava contro la staccionata, cercando di smontarla con le corna.
— Toto, ti prego, fermati! — lo implorò, agitando del pane. Lui, invece, scuoteva la testa e scalciava. Con uno scatto improvviso, spaventò un gruppo di paperelle.
A salvarla, come sempre, arrivò Enrico, il trattorista. Un suo vecchio compagno di scuola. Afferrò il vitello, lo legò con sicurezza. Caterina lo osservò mentre lavorava, le sue mani forti, i muscoli che si intravedevano sotto la camicia. E all’improvviso, qualcosa dentro di lei scattò.
— Ma cosa sto pensando, sono impazzita? — arrossì, vergognandosi. Enrico viveva con Gina, una donna alta e robusta, che un giorno era rimasta a casa sua dopo una festa, approfittando del fatto che lui avesse bevuto troppo. Ci aveva portato anche la figlia del primo matrimonio. Da allora, vivevano insieme, senza formalità.
Il divorzio da Vittorio fu rapido. Dopo di lui, altri uomini si erano fatti avanti, perfino con proposte di matrimonio, ma il suo cuore non batteva mai più forte. E ora c’era Enrico, che la guardava con un calore diverso. Sentiva il suo sguardo addosso come una carezza, e aveva paura. Paura che Gina lo scoprisse, che ne spargesse la voce per il paese.
Ma ogni giorno Enrico passava vicino al suo orto, lungo un sentiero che prima evitava. Lei si alzava all’alba, fingendo di zappare le verdure, ma in realtà aspettava i suoi passi. I loro sguardi si incrociavano, e nei suoi occhi c’era qualcosa che Vittorio non aveva mai avuto: dolcezza, tenerezza.
Poi Vittorio tornò. Senza preavviso, come se non fosse mai partito.
— Mi riprendi? — chiese con la stessa smorfia di sempre.
— Perché non sei rimasto in città?
Il suo cuore non batté più forte. Si rese conto che non aveva mai davvero amato quell’uomo.
Rimase a vivere in casa. Non poteva cacciarlo, ma non si comportava da gentiluomo. Lei, la notte, si chiudeva nella stanza, spostava il comò davanti alla porta ed entrava dalla finestra. Enrico lo vedeva, lo capiva.
Una mattina, sotto la finestra, apparvero dei gradini. Qualcuno li aveva costruiti per lei, per facilitarle il passaggio. Non certo Vittorio. Era stato Enrico, di notte, senza dir nulla.
Poi Gina si ammalò. Gravemente. La figlia andò dalla nonna, e Gina finì in ospedale, da cui non fece più ritorno.
Caterina notò che Enrico, d’inverno, spalava la neve non solo davanti a casa sua, ma anche davanti alla sua. In silenzio. Una primavera, tornando dal lavoro, trovò la porta spalancata e una donna robusta seduta in cucina, che beveva dalla sua tazza.
— Ciao, padrona di casa, — ghignò Vittorio. — Ora ci sono io e Vera. La casa è mia. Tu, prepara le valigie.
Quella notte, Caterina riposizionò il comò. Al mattino iniziò a portare fuori le sue cose. Enrico si avvicinò, prese la valigia senza parlare e la portò a casa sua. Continuò così, senza chiedere, senza pretendere. Vittorio e Vera tacevano, scambiandosi sguardi.
— Che è, storia d’amore? — rise sarcastico Vittorio. — Be’, buona fortuna.
Enrico le prese la mano e la condusse via. Improvvisamente, Caterina scoppiò in lacrime. Lui la strinse a sé, e tutto le sembrò girare intorno.
Si sposarono in fretta. Ora Caterina aspetta un bambino. Vittorio uscì di casa e la guardò andare, inquieto. Ma a lei non importava più. Dietro di lei ora c’era un vero uomo. Non in una telenovela, ma nella vita vera.
E così ho capito che a volte l’amore arriva quando meno te lo aspetti, non come nei film, ma con tutta la sua autenticità.