“Mamma, ma perché sei così testarda?” – Elena sbatté la mano sul tavolo, irritata. – “Avevamo concordato che ci avresti aiutato con il mutuo!”
“Non abbiamo concordato nulla” – rispose calma Nina mentre mescolava il tè. – “Sei tu che hai deciso che ti avrei aiutato.”
“Come sarebbe? Avevi detto che ci avresti pensato!”
“Ci ho pensato. E ho deciso di no.”
Un silenzio teso riempì la cucina. Elena fissò la madre con occhi sgranati, incredula. Il marito, Michele, si agitava vicino al frigo, visibilmente a disagio.
“Mamma, siamo in difficoltà” – riprese Elena, abbassando la voce. – “Michele ha perso il lavoro, io sono in maternità con Sofia. Non abbiamo un soldo, e la banca non aspetta.”
“E prima perché non ci pensavate?” – Nina posò la tazzina. – “Vi avevo avvertiti quando avete preso quel prestito per l’auto.”
“Che auto? È un rottame! Non avevamo mezzo per spostarci!”
“Potevate prendere l’autobus. Io ci ho viaggiato per quarant’anni e sono ancora viva.”
“Mamma!” – Elena si alzò e iniziò a camminare nervosamente. – “Davvero credi che dovremmo far viaggiare una bambina sull’autobus?”
“E perché no? Io ti ho cresciuta da sola, lavorando giorno e notte, senza chiedere aiuto a nessuno.”
Michele intervenne: – “Nina, non ti stiamo chiedendo una donazione. Restituiremo tutto appena troverò lavoro.”
“E quando sarà? Un mese? Sei mesi? Il mutuo scade ogni mese.”
“Troverò qualcosa. Ho un diploma, esperienza.”
“Certo che troverai” – annuì Nina. – “Ma intanto io come vivo? Con l’aria?”
Elena si girò di scatto: – “Hai una pensione decente! Duemila euro! Chiediamo solo cinquecento al mese! Ti resterebbe abbastanza!”
“Per cosa?” – Nina tirò fuori un quaderno. – “Vediamo: bollette, seicento euro. Medicine, trecento. Cibo, almeno cinquecento. E vestiti? E se si rompe qualcosa? O se ho bisogno di un medico privato?”
“Mamma, non compri vestiti ogni mese!”
“E le scarpe? E se si rompe la lavatrice? Con cosa la riparo?”
“Ti aiuteremmo noi” – promise Michele.
Nina lo guardò con un sorriso amaro: – “Se non avete nulla da dare, come potreste aiutarmi?”
Il pianto della bambina risuonò dalla stanza. Elena lanciò un’occhiata furiosa alla madre e corse da Sofia. Michele rimase in cucina.
“Nina, capisco sia difficile chiederti aiuto, ma siamo davvero in trappola. La banca minaccia di pignorare l’auto.”
“Giustamente” – replicò lei. – “Non dovevate indebitarvi per una macchina fuori dalla vostra portata.”
“Ma siamo famiglia. Non ci si aiuta tra familiari?”
“Ti ho già aiutata. Trentacinque anni a crescerti, darti un’istruzione, regalarti un appartamento quando ti sei sposata. Credevo fosse il mio momento di riposo.”
Elena tornò con la bambina in braccio: – “Mamma, non ti fa pena tua nipote? Se finiamo per strada?”
“Nessuno vi caccerà. Potrete sempre vivere nell’appartamento che vi ho regalato.”
“Ma senza macchina, come faremo?”
“Come milioni di persone: col bus o la metro.”
Elena si sedette, stringendo la figlia: – “Perché sei diventata così dura? Prima ci aiutavi sempre.”
“Prima lavoravo. Ora vivo della pensione che mi sono guadagnata.”
“Ma hai dei risparmi!”
Nina la scrutò: – “E come lo sai?”
Elena arrossì: – “Ho visto il libretto per caso.”
“Per caso?” – la voce di Nina si gelò. – “Frugavi tra le mie cose?”
“Non importa! Il punto è che puoi aiutarci!”
“Quei soldi sono per le emergenze, per la vecchiaia.”
“La nostra emergenza è adesso!”
“È nata perché vivete al di sopra delle vostre possibilità. Io devo pensare al futuro. Chi mi curerà quando sarò anziana? Chi comprerà le medicine?”
“Lo faremo noi.”
“Con cosa? Con la mia stessa pensione che mi avrete prosciugato?”
“Non per sempre! Solo finché non ci riprendiamo!”
Nina scosse la testa: – “Poi diventerà un’abitudine. Verrete ogni mese a chiedere.”
Michele propose: – “Potremmo firmare una ricevuta, davanti a un notaio.”
“Non servono carte” – tagliò corto Nina. – “Le promesse si dimenticano in fretta.”
La bambina ricominciò a piagnucolare. Elena si alzò: – “Va bene, abbiamo sbagliato. Ma siamo giovani, abbiamo bisogno della tua esperienza.”
Nina sorprese tutti: – “Ti aiuterò.”
I volti dei giovani si illuminarono.
“Perfetto!” – esclamò Elena. – “Domani ci fai un bonifico?”
“No. Ti aiuterò in un altro modo.”
“Come?”
“Vi darò un consiglio: chiedete ai genitori di Michele, o vendete l’auto e comprate qualcosa di più modesto.”
“Ma questa non è aiuto!” – sbottò Elena.
“È l’unico aiuto che posso darvi. Soldi, no.”
“Perché?” – la voce di Elena si incrinò.
Nina guardò fuori dalla finestra, dove cadeva una pioggia leggera.
“Perché ti ho già dato tutto” – disse infine. – “Ho lavorato dodici ore al giorno per te. Pagato l’università, comprato la casa per il tuo matrimonio.”
“Era il tuo dovere! Sei mia madre!”
“Il mio dovere finiva a diciott’anni. Ora è il mio turno di vivere per me stessa.”
“Per fare cosa? A cosa ti servono tutti questi soldi?”
“A sentirmi ancora una persona, non un bancomat per i figli. A pagarmi un medico, un taxi se starò male. A comprare un regalo a Sofia per il suo compleanno.”
“Non siamo contro i regali! Chiediamo solo un prestito!”
“E poi? Un altro mutuo? Un’auto migliore? Verrete ancora da me?”
“No!” – protestò Elena.
“Invece sì. Perché è più facile chiedere a me che pensare con la vostra testa.”
Michele tentò un’ultima volta: – “Nina, siamo la tua famiglia.”
“Proprio per questo non voglio trasformare il nostro rapporto in affari” – rispose lei. – “Se comincio a darvi soldi, finirà l’amore.”
“Perché?”
“Perché mi vedreste solo come un portafoglio. E io vi vedrei come parassiti. E che famiglia sarebbe?”
Elena sbuffò: – “Parla come una direttrice di banca! Una volta eri comprensiva!”
“Lo sono ancora. Ma non sono stupida. In pensione ho capito una cosa: più aiuti i figli con i soldi, meno si impegnano.”
“Non è vero!”
“Allora dimmi: se non potessi contare su di me, cosa faresti?”
Elena esitò: – “Chiederei in prestito alle amiche…”
“O troveresti un lavoro compatibile con Sofia. O Michele farebbe anche il facchino, pur di guadagnare. Invece perché sforzarsi, se la mamma paga?”
“Ma Michele manda curriculum ogni giorno!”
“Solo per lavori ben pagati nel suo campo. Ha mai provato come fattorino?”
Michele si irritò: – “Ho una laurea!”
“E allora? Lavorare è dignitoso. Mio padre dopo la guerra faceva il netturbino. Tu ti vergogneresti?”
“Non è quello! Ma lo stipend”Meglio un soldo guadagnato con onestà che una montagna di debiti,” concluse Nina, chiudendo il quaderno con un gesto definitivo, mentre fuori il sole tramontava su Roma, insegnando a tutti che la vera sicurezza viene dalla responsabilità, non dalle mani degli altri.