Non deve saperlo.
Giovanna era ferma davanti al portone di un vecchio palazzo di cinque piani, incapace di premere il citofono. Nella tasca del cappotto aveva un fogliaccio sgualcito con lindirizzo che aveva ottenuto da conoscenti comuni. Dodici anni Dodici interi anni erano passati da quando aveva abbandonato il suo figlio appena nato.
«Che stai facendo?» sussurrò a se stessa. «Pensi che ti aspettino a braccia aperte?»
Ma le gambe sembravano inchiodate allasfalto. Andarsene non poteva, entrare nemmeno. Nella mente si affollavano i ricordi di quel giorno terribile, quando lei, una giovane sciocca di ventidue anni, aveva ceduto alle emozioni e fatto una sciocchezza di cui si era pentita per tutta la vita.
Il suo ex marito, Matteo, era lesempio perfetto di come non scegliere un compagno di vita. Bello, affascinante, spiritoso e totalmente irresponsabile. Dopo il matrimonio era venuto fuori che aveva due passioni: lalcol e il gioco dazzardo. Lappartamento che i genitori di Giovanna avevano regalato loro come dono nuziale, lui era riuscito a perderlo in sei mesi.
«Non preoccuparti, gattina» le diceva mentre le baciava la testa. «Recupererò tutto, vedrai. Solo non mi è andata bene.»
Quando Giovanna aveva scoperto di essere incinta, Matteo era sparito per tre settimane. Era tornato malconcio, con la barba lunga e il labbro spaccato.
«Dovevo dei soldi» aveva borbottato davanti alle sue lacrime. «Senti, forse è meglio lasciar perdere questo bambino? Non è il momento.»
Quello era stato lultimo chiodo sulla bara del loro matrimonio. Giovanna aveva chiesto il divorzio al settimo mese di gravidanza. I genitori lavevano sostenuta, ma a una condizione: niente più contatti con Matteo.
Il parto era stato difficile. Il bambino era nato debole, i medici avevano lottato per salvarlo nei primi giorni. E poi, quando la crisi era passata, nella stanza era entrato Matteo ubriaco.
La sicurezza laveva portato via, ma era tornato il giorno dopo sobrio, con fiori e giochi.
«Giovanna, perdonami» aveva detto, in ginocchio nel corridoio dellospedale. «Cambierò, te lo giuro. Dammi solo unaltra possibilità.»
Sua madre, che non aveva mai approvato quel matrimonio, aveva fatto una scenata.
«O rinunci a quel bambino e vieni con noi in unaltra città, o non vogliamo più saperne di te!» aveva urlato. «Scegli o noi, o la creatura di quellalcolizzato!»
Giovanna aveva ventidue anni. Aveva appena affrontato un parto difficile, un divorzio, un tradimento. Non aveva lavoro, né casa, né la forza di lottare. E aveva commesso lerrore più grande della sua vita.
Ricordando come la madre di Matteo, Valeria, aveva preso il bambino, Giovanna sentì un nodo in gola. La donna laveva guardata con tale disprezzo che avrebbe voluto sparire.
«Firma qui» aveva detto freddamente, porgendole i documenti. «E poi sei libera.»
Negli anni seguenti, Giovanna aveva cercato di dimenticare. Si era trasferita con i genitori a Milano, aveva fatto un corso da contabile, trovato un lavoro. Poi i genitori erano morti in un incidente dauto, lasciandole un piccolo appartamento e un mucchio di debiti. Era andata avanti come poteva.
La vita personale non aveva funzionato. Aveva provato due volte a costruire una relazione, ma appena si parlava di bambini, lei scappava. Come spiegare a un uomo che aveva un figlio che aveva abbandonato?
Poi, sei mesi prima, le hanno diagnosticato un tumore. Loperazione era andata bene, ma il medico le aveva detto chiaramente:
«Non potrà più avere figli, signora Rossetti. Mi dispiace.»
E allora aveva capito che doveva provare. Almeno vederlo, assicurarsi che stesse bene.
La porta del palazzo si aprì con un colpo, e ne uscì un ragazzino in abbigliamento sportivo. Giovanna si bloccò. Era lui gli stessi occhi castani, lo stesso mento ostinato. Solo che non era più un neonato, ma un ragazzo di dodici anni.
«Aspetta qualcuno?» le chiese, tenendo la porta aperta.
«Io sì cioè, no» balbettò Giovanna.
Il ragazzo alzò le spalle e si allontanò. Lei rimase a guardarlo, incapace di muoversi.
«Ehi, Leo!» gridò qualcuno dal parco giochi. «Sbrigati, altrimenti iniziamo senza di te!»
Leo. Si chiamava Leo. Non sapeva nemmeno il suo nome.
Giovanna si voltò e si allontanò, ma dopo pochi passi si fermò. No, non poteva andarsene così. Doveva almeno provare.
Tornò indietro e premette il citofono. Dallaltoparlante rispose una voce familiare:
«Chi è?»
«Valeria? Sono sono Giovanna. Posso salire?»
Una lunga pausa. Poi il clic della serratura.
Lappartamento era quasi identico. Stessi muri, stesso odore un misto di valeriana e torta appena sfornata. Valeria era invecchiata, ma si teneva dritta.
«Perché sei venuta?» chiese senza preamboli.
«Volevo sapere come sta. Come sta Leo.»
«Come fai a sapere come si chiama?»
«Lho visto giù poco fa. I suoi amici lo hanno chiamato.»
Valeria sorrise amaramente:
«Be, entra in cucina. Se sei qui, ci parleremo.»
Davanti a un tè, vennero fuori molte cose. Matteo non era mai cambiato. Beveva, giocava, si indebitava. Due anni prima lavevano trovato morto in un vicolo forse un infarto, forse qualcuno laveva aiutato.
«Lho cresciuto io da sola» raccontò Valeria. «La pensione è misera, ma ce la facciamo. Leo è un ragazzo doro studia bene, va a nuoto. Lallenatore dice che ha talento.»
«Lui sa qualcosa di me?»
«Sa che la madre è morta di parto. E non pensare nemmeno di dirglielo!» la voce di Valeria si fece dura. «Hai fatto la tua scelta dodici anni fa.»
«Lo so. Non voglio rovinare niente. Solo volevo essere sicura che stesse bene.»
«E cosa avresti fatto se non stesse bene?» Valeria la fissò. «Saresti arrivata come la salvatrice?»
Giovanna tacque. Che poteva rispondere?
«Ho avuto un tumore» disse allimprovviso. «Mi hanno operata. Non posso più avere figli. E ho pensato»
«Che potevi tornare dal figlio che hai abbandonato?» completò Valeria. «No, cara. Non funziona così.»
«Posso aiutare in qualche modo? Con dei soldi?»
«I soldi non ci farebbero male, certo. Ma non dai tu. Io e Leo ce la facciamo. Ce labbiamo sempre fatta.»
In corridoio si sentì rumore Leo era tornato.
«Nonna, ho fame!» gridò dallingresso.
«Lavati le mani, ti servo subito» rispose Valeria, abbassando la voce: «E tu vai via. E non tornare.»
Giovanna si alzò. Sulla porta della cucina apparve Leo arrossato per il freddo, con i capelli scomposti.
«Oh, abbiamo ospiti?