Non proprio come in una soap opera, ma quasi.
Lucia adorava le telenovelas e sognava che la sua vita fosse perfetta come sullo schermo. Ma erano solo sogni, perché la realtà era molto più semplice e noiosa. I giorni scorrevano lenti, monotoni.
Si era sposata con Marco, pensando fosse amore. Ma Marco, irrequieto e infedele fin da ragazzino, era rimasto uguale. La portò a vivere nella sua casetta in campagna, e dopo tre anni di matrimonio, un giorno le disse:
“Me ne vado in città. Vivi come vuoi. Qui mi sento soffocare, la mia anima ha bisogno di altro.”
“Marco, ma perché? Stavamo bene insieme,” provò a trattenerlo, senza capire.
“Tu stavi bene. Io no.”
Con queste parole se ne andò, prendendo il passaporto e le poche cose che gli stavano in una vecchia borsa. In paese iniziò subito a circolare la voce:
“Marco ha lasciato Lucia per una in città, sicuro ha trovato un’altra.”
Lucia sopportò tutto in silenzio, senza piangere né lamentarsi. Continuò a vivere nella casa di lui. Dove poteva andare? A casa dei genitori c’era il fratello con la sua famiglia numerosa, e per lei non c’era posto. Non aveva avuto figli.
“Forse Dio ha capito che Marco non sarebbe stato un buon padre,” pensava guardando i bambini del paese.
La sera, dopo le faccende, si sedeva davanti alla TV a guardare una telenovela piena di tradimenti e passioni. La assorbiva completamente, poi faceva fatica a dormire.
La mattina doveva nutrire il maiale, galline, oche e il vitellino Plutone, che legava dietro l’orto invece di mandarlo al pascolo.
“Lucia!” la chiamò una vicina. “Plutone si è liberato, corre per il paese!”
“Dove?” uscì di corsa e lo vide che cercava di sfondare la staccionata del vicino con le corna appena spuntate.
“Plutone, vieni qui,” lo chiamò dolcemente, offrendogli un pezzo di pane, ma lui scuoteva la testa. “Che tu possa crepare!” sbottò lei, e il vitello, quasi offeso, scappò spaventando le anatre del vicino.
Non si sa quanto avrebbe corso dietro a Plutone, se non fosse arrivato il trattorista Enzo. Afferrò la corda spezzata, la tirò e riportò il vitello al recinto. Lucia osservò le sue mani forti, i muscoli sotto la camicia sporca. Per un attimo desiderò che quelle braccia la stringessero.
Poi scacciò il pensiero:
“Ma che mi prende? Come una gatta in calore.”
Si vergognò di quei sentimenti.
“Che sciocchezza. Non ho mai provato niente per Enzo, il mio vecchio compagno di scuola. Biondo, sempre a ridere, burlone. E poi non mi serve. Vive con quella gigantessa di Zoe, la vicina.” Distolse lo sguardo e si allontanò.
Lucia aveva divorziato subito dopo che Marco era scappato in città. Aveva avuto corteggiatori, anche proposte di matrimonio, ma nessuno le piaceva. Così viveva sola, senza amore.
Enzo si puliva le mani nell’erba bagnata, e lei disse:
“Vieni in cortile, ti lavi le mani.” Lui la seguì in silenzio, e lei sentiva il suo sguardo bruciarle la schiena.
Notò che Enzo la guardava in modo diverso e si chiese:
“Che gli prende?” Ma lui si lavò le mani, si asciugò con l’asciugamano, le lanciò un’occhiata intensa e se ne andò.
Da quel momento, sembrò che tra loro si fosse teso un filo invisibile. Quando Enzo passava, Lucia arrossiva. Lui usciva la mattina e faceva un giro più lungo solo per passare davanti al suo cortile, cosa che prima non faceva.
Lucia cominciò ad alzarsi presto per zappare l’orto, “per l’aria fresca”, diceva a se stessa. Ma in realtà voleva incontrare Enzo, che ogni mattina andava al lavoro. Si scambiavano sguardi, e nei suoi occhi vedeva interesse, forse addirittura adorazione.
Cercava di scacciare quei pensieri “peccaminosi” e aveva paura di Zoe.
“Dio non voglia che Zoe veda, mi farà a pezzi e mi diffamerà per tutto il paese.”
Ma Enzo continuava a passare, a guardarla con quegli occhi che la bruciavano. Lei ricambiava con un sorriso timido. E pensava che la loro storia era come una telenovela infinita, tipo “Un Posto al Sole”.
Una volta, mentre spazzava il cortile, sentì una voce:
“Ciao, Lucia mia.”
Si voltò di scatto e vide Marco. La stessa smorfia arrogante, gli occhi castani che una volta le facevano battere il cuore, ora pieni di barba incolta.
“Sono tornato… Mi riprendi?”
“E perché? Non ti piaceva la città?”
Questa volta il cuore non sussultò. Forse non c’era mai stato amore, o era svanito. La porta si era chiusa per sempre quando lui era scappato senza di lei.
Marco tornò a casa sua. Lucia non aveva dove andare e non poteva cacciarlo. La notte chiudeva la porta della sua stanza e ci spingeva davanti un pesante comò, per evitare che lui entrasse. Lui dormiva dall’altra parte della casa. Lei era costretta a entrare e uscire dalla finestra.
Enzo continuava a passare, sempre più cupo. Finché un giorno vide Lucia uscire dalla finestra e qualcosa in lui si riaccese.
“Allora non l’ha riaccolto, se esce così.”
La mattina dopo, mentre usciva dalla finestra, Lucia trovò due scalini di legno.
“Chi si è preoccupato di me? Non certo Marco, lui è sempre fuori con gli amici a festeggiare il suo ritorno.”
Enzo aveva costruito quegli scalini per lei di notte. Non era sposato con Zoe, convivevano da anni. Lei aveva tre anni più di lui e una figlia da un matrimonio fallito. Enzo le voleva bene.
Zoe era entrata nella sua vita durante una festa di paese. Lui aveva bevuto troppo, lei lo aveva portato a casa e non se n’era più andata. Poi aveva portato anche la figlia.
Passò il tempo, arrivò l’inverno. A Marco finirono i soldi, nessuno lo invitava più, così tornò in città. Lucia respirò di sollievo. Intanto, anche per Enzo le cose cambiarono: Zoe si ammalò.
La madre di Zoe prese la nipote, Enzo la assisteva, ma poi la portarono in ospedale. Zoe non tornò più viva.
Tutto il paese la pianse.
“Era alta e grossa, ma buona. Non litigava mai,” diceva la vecchia Annunziata.
Enzo rimase solo, ma spesso Lucia lo vedeva spalare la neve nel suo cortile la mattina. Faceva il suo e poi il suo, e intanto guardava verso le sue finestre.
L’inverno passò, arrivò la primavera. Un giorno, tornando dal lavoro, Lucia trovò la porta di casa spalancata. Dentro, una donna robusta sedeva al tavolo, bevendo il suo tè dalla sua tazza.
“Non ti aspettavi di vedermi, eh?” disse Marco. “Ora vivremo qui io e Veronica. La casa è mia, no?” La stava punendo per averlo rifiutato. “Questa sarà mia moglie, presto ci sposeremo… Tu raccogli le tue cose e vattene, se non vuoi vivere con noi e vedere la nostra felicità.” Rise sguaiatamente e strizzò l’occhio a Veronica, che rise ancora più forte.
Quella notte Lucia dormì in casa, spostando il comò davanti alla porta.
“Dio mio,” pregMa mentre la luce del mattino filtrava attraverso le tende, Enzo bussò alla sua porta con un mazzo di fiori di campo e le chiese semplicemente: “Adesso basta soffrire, vieni a casa con me e inizia la tua vera vita,” e in quel momento Lucia capì che il suo finale da telenovela finalmente era arrivato, bello e perfetto come non l’avrebbe mai immaginato.