Non è come pensavi…

Non è come pensavi…

— Mamma e papà arriveranno questo weekend — disse Chiara, cercando di sembrare nonchalant. — Vogliono conoscerti.

Lorenzo, che stava spalmando la marmellata di ciliegie su una fetta di pane, si bloccò. Abbassò lentamente il coltello.

— Fantastico — rispose, forzando un sorriso. — Io… sono contento. Molto.

Ma Chiara lo conosceva troppo bene. Notò subito la tensione nelle sue spalle, il modo in cui evitava il suo sguardo.

— Lollo, andrà tutto bene. Ti accetteranno, vedrai — disse dolcemente, prendendogli la mano.

Lui sbuffò, ma nei suoi occhi c’erano solo preoccupazione e insicurezza.

— Chiarina, i tuoi genitori sono persone raffinate, educate… Guardami: la barba, i tatuaggi, l’orechino. Per loro sarò un incubo.

— Per me sei la persona più dolce del mondo — replicò lei con calma. — E lo vedranno anche loro. Vedrai.

La settimana passò in un turbinio di preparativi. Chiara pulì l’appartamento, ripassò le ricette preferite dei suoi genitori e mise tutto a posto. Lorenzo la aiutò in silenzio: appese nuove tende, comprò fiori freschi, ma ogni sera finiva sul balcone a fumare, perso nei suoi pensieri.

E poi arrivò il giorno. Chiara sistemava nervosamente la tovaglia, spostava i tovaglioli ancora e ancora. Lorenzo, con una camicia bianca arrotolata alle maniche, si pettinava davanti allo specchio.

Squillò il citofono.

— Vado io — sospirò lui, dirigendosi verso l’ingresso.

Sulla soglia c’erano loro: Elisabetta e Roberto. La madre fissò Lorenzo con occhi sgranati, come se avesse visto un fantasma. Il padre increspò la fronte, passando dalle mani tatuate all’orecchino.

— Buongiorno — disse Lorenzo, tendendo la mano. — Sono Lorenzo. Piacere di conoscerla.

Roberto, dopo una pausa, strinse la mano e annuì rigido. Elisabetta, percependo la tensione, fu la prima a riprendersi:

— Allora, entriamo. Chiara ci aspetta, no?

Chiara apparve dalla cucina, con un sorriso teso. Abbracciò i genitori, poi prese Lorenzo per mano e li accompagnò in salotto.

La cena trascorse in un silenzio pesante. La madre osservava Lorenzo come se cercasse di risolvere un enigma. Il padre faceva domande asciutte, precise. Di che lavoro si occupava? Da quanto stavano insieme? Dove vivevano i suoi genitori?

Quando Lorenzo disse di fare il veterinario, Elisabetta alzò un sopracciglio:

— Veterinario? Inaspettato. Non sembri il tipo…

Lui annuì:

— Lo sento spesso. Ma i tatuaggi non sono una diagnosi.

Un silenzio imbarazzato, poi Roberto chiese:

— E perché proprio gli animali?

Lorenzo inspirò profondamente:

— Da bambino trovai un cane investito. Era in fin di vita. Io e mia madre lo portammo in clinica. Fu la prima volta che vidi un medico lottare per salvare un paziente che non può chiedere aiuto… Capii in quel momento che volevo fare lo stesso.

Roberto si ammorbidì all’improvviso. Cominciò a chiedergli dei casi più difficili, persino a raccontare di quando liberò un gatto dalle fogne.

Per la fine della serata, l’atmosfera si era scaldata. Lorenzo parlava di come gli animali sentano la gentilezza, di come avesse passato notti intere a curare cuccioli che gli altri avevano dato per persi.

Mentre i genitori si preparavano a uscire, Elisabetta gli si avvicinò e lo abbracciò.

— Grazie per la tua sincerità — sussurrò. — Mi sbagliavo.

Roberto gli strinse la mano con più forza:

— Abbi cura della mia bambina. È unica.

Quando la porta si chiuse, Lorenzo lasciò uscire un sospiro di sollievo:

— Credevo che tua madre avrebbe cominciato a recitare preghiere e a spruzzare acqua santa.

Chiara rise e si strinse a lui:

— Sapevo che ti avrebbero amato. Perché sei il migliore.

Rimasero abbracciati in silenzio, mentre sul davanzale dormiva un gattino rosso — lo stesso che Lorenzo aveva salvato anni prima.

— È buffo, però — mormorò lui. — Se non ci fossi stata tu, se non ci fosse stato lui, forse non ci saremmo mai neanche parlati…

— Ora avremo una bella storia da raccontare ai nostri figli — sorrise Chiara.

— E genitori che non mi hanno cacciato — aggiunse lui.

Entrambi risero, leggeri, felici, con la certezza che la vera felicità è essere accettati per quello che si è.

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