Non è la loro patria, a questi cinque… Ma chi può dirlo…

**Diario di Ettore**

A Ettore era rimasta la casa vuota. La moglie, Lucia, se nera andata dopo il parto dellultima figlia, lasciandolo solo con cinque bambini da crescere. Il maggiore, Niccolò, aveva nove anni. Poi cera Elia, di sette. I gemelli, Alessandro e Leone, ne avevano quattro. E la piccola Elena, appena tre mesi, la figlia tanto attesa che Lucia non aveva fatto in tempo a conoscere.

Di notte, quando tutti dormivano, Ettore fumava in cucina, il cuore pesante. Allinizio aveva cercato di fare tutto da solo. La cognata era venuta ad aiutare per un po, ma non avevano altri parenti. Qualcuno dallassistenza sociale aveva proposto di portare i bambini in un istituto. Lui aveva rifiutato con fermezza. Come poteva abbandonare i suoi figli? Sarebbe stato come tradire la memoria di Lucia.

Passavano i giorni, uno dopo laltro. Niccolò ed Elia a volte riuscivano a fare i compiti da soli. Con Elena, invece, era più complicato. Fortuna che la sorella maggiore, la signora Nina, linfermiera che faceva visita regolarmente, si era affezionata a loro. Un giorno gli propose di mandare una ragazza del paese a dare una mano. «È una brava ragazza, laboriosa. Lavora allospedale come assistente. Non è sposata, ma ha cresciuto i suoi fratelli. Sa come ci si prende cura dei bambini.»

E così entrò nella loro vita Ludovica. Bassa di statura, forte, con una treccia lunga e un viso rotondo. Silenziosa, ma efficiente. In poco tempo, la casa di Ettore cambiò. Pavimenti lucidi, vestiti rammendati, pentole che profumavano di sugo fresco. Elena era curata con attenzione, e anche alla scuola e allasilo notarono la differenza: i bambini erano puliti, ordinati, con i bottoni al posto giusto.

Una volta Elena si ammalò di febbre alta. Il medico disse che con le giuste cure sarebbe guarita. Ludovica vegliò su di lei notte e giorno, senza mai lamentarsi. E senza rendersene conto, rimase.

I più piccoli iniziarono a chiamarla «mamma», bisognosi di quellaffetto che mancava. Lei non li rimproverava mai, anzi, li accarezzava, li abbracciava. Niccolò ed Elia, invece, allinizio erano diffidenti. Per loro era solo «Ludovica». Non una madre, non una babysittersolo Ludovica. Per rispetto alla vera mamma che avevano perso.

I parenti di lei non erano contenti. «Perché ti sei legata a un uomo con cinque figli?» le chiedevano. Lei rispondeva semplicemente: «Mi dispiace per Ettore. E i ragazzi si sono affezionati. Non posso abbandonarli.»

Passarono quindici anni. I bambini crebbero. Non sempre fu facilea volte combinavano guai, e Ettore perdeva la pazienza. Ma Ludovica lo fermava: «Aspetta, padre, prima bisogna capire cosa è successo.»

E così, piano piano, il paese smise di chiamarla «Ludovica». Ora era «Signora Ludovica», rispettata da tutti. Niccolò si sposò e stava per diventare padre. Elia frequentava luniversità a Roma, futuro ingegnere. I gemelli studiavano agraria. Elena, ormai adolescente, era la gioia di Ludovicabrava a scuola, amante della musica e della danza.

Quellestate, però, Ludovica iniziò a sentirsi strana. Capogiri, nausea. Allinizio pensò fosse letà, ma poi dovette andare dal medico. Tornò a casa in silenzio, con lo sguardo perso. Solo quella sera, quando tutti dormivano, chiamò Ettore in giardino.

«Devo dirti una cosa il medico mi ha detto che aspetto un bambino.» Si coprì il viso con le mani. «Che vergogna a questa età.»

Ettore rimase sorpreso. Dopo tutti quegli anni, un altro figlio? «Vergogna? Ma dai, i grandi ormai sono quasi fuori casa. La natura sa quello che fa!»

«Ma come lo diciamo ai ragazzi?»

«Lo dirò io.»

Dopo cena, riunì tutti in cucina. «Ascoltate, figlioli. Presto avrete un fratellino o una sorellina.»

Ludovica abbassò lo sguardo, rossa in viso. Niccolò scoppiò a ridere. «Grande, mamma! Fantastico! Nascerà insieme al mio!»

Alessandro esultò: «Un fratellino!»

Ma Leone protestò: «No, una femmina! Abbiamo già troppi maschi in casa!»

Elena batté le mani. «Sì, una sorellina! Le comprerò dei vestiti bellissimi!»

Elia, più serio, aggiunse: «Non è una bambola, bisognerà crescerla bene.»

«Lo faremo insieme» disse Ettore.

I mesi passarono. Niccolò diventò padre di un maschietto. Elia tornò alluniversità. I gemelli partirono per il tecnico agrario. Elena ricominciò la scuola. La casa tornò silenziosa.

Una notte, però, Ludovica si svegliò per un dolore acuto. «Ettore credo sia arrivato il momento.»

Lui impallidì, le mani tremanti mentre cercava le scarpe. «Aspetta, chiamo lambulanza!»

Elena corse a chiamare il suo ragazzo, Tommaso, che si offrì di accompagnarli con lauto del padre.

Allospedale, Ettore fumò una sigaretta dopo laltra in cortile. Allalba, uninfermiera uscì. «Allora, papà? Dovrai fumare meno adesso quanti figli hai già?»

«Cinque.»

«Be, ora sono sette! Tua moglie ha avuto due gemelli! Un maschio e una femmina!»

Ettore rimase senza parole. «G-gemelli?»

«Sì! Il maschietto è vivace, la femminuccia è bellissima! Ora vai a casa, domani torna con quello che serve.»

Il giorno delle dimissioni, tutta la famiglia si riunì. I figli maggiori saltarono le lezioni per essere lì. Linfermiera consegnò due fagotti: uno con un fiocco azzurro, laltro rosa. Ettore prese il primo, ma Niccolò afferrò il secondo. «Dai, papà, lascia fare a me!»

Elena sbirciò nel fagotto rosa. «Che carina! La mia sorellina!»

Salirono sullautobus che il direttore dellazienda agricola aveva messo a disposizione. Ridendo, Niccolò disse: «Mamma, hai fatto contenti tutti!»

Ludovica sorrise, guardando Ettore che teneva in braccio il piccolo. «Li cresceremo bene» pensò. Poi si rivolse agli altri: «Allora, come li chiamiamo?»

Ognuno propose un nome, parlando tutti insieme.

Lautista, amico di Ettore, ascoltando quel trambusto, pensò: «Non è una madre per sangue, questi cinque ma chi potrebbe mai dirlo?»

**Lezione di oggi:** La famiglia non è solo sangue. È chi si prende cura di te, anche quando il mondo ti volta le spalle.

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Non è la loro patria, a questi cinque… Ma chi può dirlo…