Non giudicare dal cuore nascosto

Nel piccolo borgo di Montenero, nascosto tra le colline della Toscana, la vecchia Adele non era benvoluta. Era una donna che evitava la compagnia degli altri, e “evitare” era un modo gentile per dirlo. La odiavano tutti, e su questo gli abitanti del paese erano d’accordo. Adele era forte come un bue: spalle larghe, alta, più di molti uomini del posto, costringendoli a sollevare lo sguardo per incrociare i suoi occhi. Ma nessuno cercava quello sguardo. Non rispondeva ai saluti, borbottava qualcosa sottovoce e continuava per la sua strada, senza alzare gli occhi. O meglio, senza abbassarli, data la sua statura imponente.

Viveva al centro del paese, in una vecchia casa che, secondo i racconti degli anziani, era stata costruita da suo padre. Attorno alla casa si ergeva un recinto alto e solido, tanto che pochi osavano sbirciare oltre. Adele era rapida nell’agire. Una sera d’estate, alcuni ragazzi ubriachi, spinti dalla curiosità, provarono a scavalcarlo per vedere come vivesse quella solitaria. Adele, accortasi di loro dalla finestra, uscì sul portico con un fucile da caccia, ereditato dal padre, e sparò un colpo in aria senza dire una parola. Da allora, il suo cortile fu evitato da tutti.

La sua fattoria era prospera: galline, oche, conigli, due capre. I paesani sussurravano: “A che le serve così tanto? La pensione le basterebbe, invece è sempre avara.” Adele macellava gli animali da sola, li portava al mercato del paese vicino, dove vendevano tutto in un giorno. I soldi li nascondeva in seno e tornava alla sua casa fortificata. Con il latte di capra preparava formaggio con una ricetta antica, costoso ma, si diceva, aveva clienti fissi in città. Gli animali erano sani, i conigli ben pasciuti, le uova grandi, tutto senza trucchi. Adele non abbassava mai il prezzo, ma la sua merce era sempre richiesta.

Quando si parlava di lei, i vecchi ricordavano che Adele era sempre stata cupa. Sua madre era morta quando era ancora una bambina. Era rimasta sola con il padre, altrettanto grande e solitario. Dopo qualche anno, lui aveva portato a casa una matrigna da un paese vicino, ma lei, dopo un mese, era scappata con una valigia alla stazione. Qualcuno mormorava che fosse colpa di Adele. Padre e figlia rimasero soli. Quando Adele crebbe, il padre partì per la città a vendere e non tornò più. Nessuno seppe se fosse stato ucciso o se avesse seguito la moglie fuggita. Adele rimase sola. Per sempre.

Non si sposò mai. “Chi potrebbe sopportarla?” chiacchieravano in paese. Gli anni passavano, la gente moriva, nascevano nuovi abitanti, ma Adele sembrava ferma nel tempo. Nemmeno i capelli grigi la toccavano: portava sempre un fazzoletto in testa, sotto cui si intravedevano solo un mento massiccio, un naso adunco e folte sopracciglia nere, come scolpite nella pietra.

Una notte d’inverno, la casa dei vicini, i Bianchi, prese fuoco. Adele arrivò senza una parola, con un attizzatoio, e mentre aspettavano i pompieri, aiutò a spegnere le fiamme. Smontò i tronchi ardenti con tale maestria che la casa fu ricostruita quasi con lo stesso legno, quasi nulla bruciò. I vicini la ringraziarono, ma Adele borbottò qualcosa e se ne andò, senza voltarsi.

Quando Adele morì, dal capoluogo arrivò la direttrice dell’orfanotrofio “Santa Maria”, la signora Giulia Marini, con tre educatrici e una dozzina di bambini. I paesani, più per curiosità che per dolore, si riversarono nel suo cortile. Trovarono un ordine perfetto: il pollaio, le gabbie dei conigli, la stalla per le capre, tutto come nelle riviste straniere. In casa, una pulizia sterile, ma vuoto. Un tavolo, una sedia, un letto di ferro con la rete affossata, una credenza storta con un piatto rotto, un cucchiaio, un coltello e una tazza senza manico. Vicino alla finestra, una panca consumata dal tempo, e sulla stufa, vestiti piegati con cura. E basta.

Sul tavolo c’era una busta, scritta con una calligrafia decisa: “A Giulia Marini, da Adele Rossetti.” La direttrice la aprì e lesse un foglio strappato da un quaderno. Disse poi che, per vent’anni, Adele aveva inviato mensilmente all’orfanotrofio soldi — una somma cospicua, che aveva aiutato molto. Sul foglio c’era scritto: “La casa, la fattoria e tutto ciò che possiedo vanno all’orfanotrofio Santa Maria. I bambini non hanno colpe.”

I paesani tacquero, guardando la casa vuota. Qualcuno ricordò come Adele, da ragazzina, sedesse vicino al fiume, fissando l’acqua, come se aspettasse qualcuno. Qualcun altro sussurrò che forse il padre non era scomparso, ma era fuggito, lasciandola sola. E lei, chiusa nel suo cuore, aveva portato quel peso tutta la vita. E solo ai bambini, estranei e innocenti, aveva donato tutto ciò che aveva.

A volte, le persone più silenziose sono quelle che nascondono le generosità più grandi.

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