“Non hai nemmeno detto grazie,” sussurrò Giovanna, la voce carica di stanchezza.
“Mamma, ma vuoi smetterla?” sbottò Matteo senza alzare gli occhi dallo smartphone. “Ti ho detto che ho da fare!”
“Da fare, lui!” Giovanna sbatté lo straccio bagnato sul tavolo della cucina. “Quarant’anni li compi a settembre, e sei ancora come un ragazzino! Matteo, ti prego, vai da nonna. Ha chiamato ieri, dice di sentirsi male.”
“Mamma, ho un appuntamento tra un’ora! Importante!” Finalmente Matteo distolse lo sguardo dallo schermo. “Vado dopo, stasera o domani.”
“Domani, dopodomani…” Giovanna si lasciò cadere sulla sedia di fronte al figlio, un sospiro profondo sollevandole il petto. “Tua nonna ha vissuto ottantatré anni, e tu trovi sempre una scusa per non farle visita.”
“Non ricominciare con questo ritornello!” Matteo si alzò di scatto, infilando il telefono in tasca. “Lavoro, capisci? Guadagno i soldi! Mica come certa gente che sa solo lamentarsi!”
Giovanna trasalì per la durezza del figlio, ma tacque. Era abituata. Matteo era sempre stato brusco, specialmente quando si parlava di obblighi familiari.
“Va bene,” disse piano. “Allora ci vado io. Però c’è un problema: la macchina è dal meccanico, e in autobus ci vuol quasi un’ora…”
“E allora?” Matteo indossava già la giacca. “Prendi l’autobus, no? O chiama un taxi!”
“Un taxi costa troppo, figlio. La pensione è misera, lo sai.”
“Lo so, lo so!” Matteo era già sulla porta. “Senti, mamma, ne parliamo dopo? Devo proprio andare!”
La porta sbatté. Giovanna rimase sola nella cucina dove fluttuava ancora il profumo del minestrone che aveva preparato per il figlio. Matteo non ci aveva nemmeno toccato.
Si avvicinò alla finestra e lo vide salire sulla sua auto nuova. Un modello elegante e costoso. Matteo ne andava fiero, raccontava a tutti delle sue dotazioni. Ma portare sua madre dalla nonna? Non aveva tempo.
Giovanna estrasse dal borsellino il portafoglio consumato, contò gli spiccioli. Un taxi fino a Vigevano, dove abitava la suocera, era caro. Avrebbe preso l’autobus.
Imbacuccata nello scialle, uscì nella fredda nebbiolina milanese. Alla fermata aspettò quasi trenta minuti. L’autobus arrivò stracolmo, Giovanna si infilò a fatica. Viaggio noioso, con cambio a Pavia. I giovani stavano seduti con le cuffie, immersi negli smartphone. Nessuno cedette il posto alla signora anziana.
Finalmente arrivò nel paesino. La casetta di Maria Bianchi era in periferia, il giardino incolto come una giungla.
“Nonna? Sono io, Giovanna!” bussò alla porta di legno scrostato.
La porta si aprì a fatica. Maria, madre del defunto marito di Giovanna, si reggeva al bastone. Era scheletrica.
“Ninnetta!” sorrise, gli occhi che brillavano. “Che gioia! Entra, entra!”
“Come stai, nonna?” Giovanna l’abbracciò, un bacio sulla guancia rugosa. “Mi sembri magra.”
“Che vuoi… Niente appetito. E la notte non dormo. Dolori ovunque…”
“Sei stata dal dottore?”
“Sì. Dicono che è l’età. Ottantatré anni, pazienza.” Maria la fece sedere. “Prendi un caffè?”
“Certo.” Giovanna tirò fuori dalla borsa il recipiente col minestrone. “Ti ho portato questo, e le polpette, e le focaccine ripiene.”
“Ah, grazie cara!” Maria sorrise tremula. “E Matteo? È tanto che non lo vedo.”
Giovanna esitò, versando il caffè nella tazzina.
“Lavora tanto, nonna. Ha molti impegni.”
“Capisco,” annuì la vecchia. “L’uomo deve lavorare. Ma…” abbassò lo sguardo. “Mi manca. È il mio unico nipote.”
“Lo so. Anche lui ti pensa, ma non ha tempo.”
“Non è vero, Giovanna.” Maria scosse il capo. “Se gli mancassi, troverebbe il tempo. L’hai trovato tu.”
Giovanna non seppe rispondere. Ci aveva pensato anche lei. Matteo avrebbe potuto trovare un’ora, se avesse voluto. Ma non voleva. Trovava noioso starsene in quella casa a sentire lamentele e ricordi.
“Parlami di te,” chiese Giovanna.
“Che vuoi che ti dica… Mi alzo, mangio un boccone, giro per casa. La vicina Gina passa a volte, due chiacchiere. Il resto del tempo sono sola. La televisione, ma poi mi angoscio…”
“E la salute?”
“Male, Ninnetta. Sempre peggio. Il cuore batte strano, fitte al petto. Ieri sono caduta in cucina, per fortuna mi sono aggrappata al tavolo.”
“Nonna!” Giovanna trasal
Mentre affrettava i passi verso la macchina immerso nei suoi
E mentre i giorni si trasformavano in mesi, Giovanni scoprì troppo tardi che il silenzio del suo “grazie” mai pronunciato divenne un macigno sull’anima, più pesante di qualsiasi rimpianto.