– Luigi, non hai scampo. Lo sai bene. La notte arriva presto e inizia la bufera di neve. Non potrai resistere fino al mattino.
Parlavano in due. Uno era alto, con un giaccone nero, stava saldo sugli sci, con uno zaino e un fucile sulle spalle. L’altro era semisdraiato nella neve, guardandolo dal basso verso l’alto, con lo sci rotto accanto e la gamba piegata in modo innaturale. Intorno c’era solo la pianura desolata: niente alberi né cespugli, solo in lontananza, quasi all’orizzonte, si intravedeva una striscia scura di bosco. Si avvicinava sera, il vento sempre più forte faceva turbinare rari fiocchi di neve.
– Lo capisci da solo, – si giustificava l’alto, – se fossimo nel bosco sarebbe diverso, lì almeno potremmo accendere un fuoco. Ma il bosco dista un’ora e mezza a piedi. Non posso trascinarti fin là.
– Hai provato? – chiese stanco Luigi, disteso nella neve.
– Non c’è nemmeno da provare, – l’altro rispose rapidamente, con un tono stridulo. – Se resto con te, moriremo entrambi. Non è il caso di fare una fossa comune qui. Non voglio portare compagnia nell’aldilà. Così almeno io resterei vivo.
– Ho sempre saputo che sei un uomo senza cuore, Marco.
– Basta con le prediche, – ribatté aumentando di tono, – nei libri tutto va a meraviglia, ma nella vita reale è l’opposto. L’uomo è lupo per l’uomo. È così che va. Non è colpa mia se ti sei storto la gamba. Non sono mica un eroe. Sono una persona semplice.
– Di questo avrei dubbi…
Dopo una breve pausa, Marco allungò improvvisamente il bastone da sci e agganciò il fucile di Luigi, spingendolo lontano. Scivolò sulla neve fino a fermarsi su un piccolo cumulo.
– Che stai facendo, verme? – protestò Luigi.
– È per la mia sicurezza. Vai a sapere, preso dalla rabbia potresti spararmi alla schiena.
Poi fece un cenno di saluto con la mano e, con lo sguardo abbassato, si allontanò spingendosi con i bastoni da sci. La neve scricchiolava sotto gli sci, e rapidamente Marco prese velocità in direzione del bosco lontano. Semisdraiato, Luigi guardò la figura che si allontanava finché non scomparve dietro i cumuli di neve.
“Uomo lupo per l’uomo…” – pensò e sussurrò: – Vivere accanto a qualcuno e non sapere mai veramente chi è…
Dopo un po’, il vento ululò e la neve sempre più fitta coprì tutto. Da lontano si udì un ululato. Un ululato di lupi che gelava il sangue.
“Il fucile!”- si disse Luigi, colto da panico. Doveva raggiungerlo. I proiettili erano in numero sufficiente. E il suo amato doppiettone “Cervo” si trovava a pochi metri, con le canne immerse nella neve. Con tutte le forze tentò di girarsi verso il fucile, ma un dolore acuto lo colpì, rendendolo quasi incosciente. Rinunciò a ulteriori sforzi per raggiungerlo.
Dominandosi, Luigi guardava alcune macchie scure che attraverso il velo di neve si avvicinavano lentamente, sempre più grandi e nitide.
– Lupi. – sussurrò con sorprendente calma. – Ecco la mia fine…
Un nodo gli serrò la gola, ferocemente: “Mamma! Come farà senza di me?”
A due passi da lui c’erano quattro lupi: poderosi, forti, spietati predatori. Davanti a tutti, un capo branco con l’orecchio sinistro mozzato e, leggermente più bassa degli altri, probabilmente una lupa.
– Ti ho già visto da qualche parte? – pensò rapidamente Luigi, prima di sprofondare in una cupa oscurità.
Si dice che negli ultimi secondi di vita l’intera esistenza passi davanti agli occhi. Così Luigi si rivide bambino, che correva con gli amici verso il lago in una luminosa giornata estiva. Accanto a lui, sempre vigile, il suo cane Fedele. Il nome non era casuale. Non lasciava mai il suo padrone senza tenerlo sott’occhio. Il gruppo di amici si gettò in acqua, sollevando nuvole di spruzzi. Luigi nuotò più lontano di tutti. E poi, tra le risate e le grida degli amici, Fedele si tuffò per portarlo a riva. Gli amici ridevano:
– Dai, esci dall’acqua! La balia è venuta a prenderti!
Fedele, raggiuntolo, lo afferrò delicatamente per il polso e iniziò a trascinarlo verso la riva. Teneva saldo, ma senza dolore. Tra le esclamazioni e risate, Fedele portò Luigi a riva e iniziò a saltellare felice ai suoi piedi.
Fedele – il cane amato di Luigi, senza pedigree, ma abbastanza alto e forte, con un ampio petto e zampe possenti. La testa sproporzionatamente grande con occhi intelligenti ricordava vagamente un lupo. Amava il suo padrone senza limiti. Talvolta quell’amore superava qualsiasi confine.
Un giorno Luigi andò a pescare e il cane lo seguì. Sulla riva, trovando un posto libero tra i pescatori, lui gettò la lenza. Quando il galleggiante toccò l’acqua, Fedele pensò che il padrone volesse giocare e si lanciò per riportare il galleggiante. Spaventò tutta la pesca e sentì dai pescatori una serie di insulti, ma portò a Luigi il galleggiante masticato, soddisfatto. Da allora, avvicinandosi allo stagno, diceva guardando il cane negli occhi:
– Torna a casa! Vai a casa.
A Fedele bastava una sola volta, abbassava tristemente gli occhi e senza volerlo tornava verso la casa.
Poi nella sua mente riapparvero i ricordi dell’estate precedente. Luigi con due cacciatori inseguivano i lupi. Riuscirono a sparare a due, ma la terza lupa, perdendo sangue, riuscì a fuggire. Cercando di salvare i suoi cuccioli, voleva spostarli altrove, ma non fece in tempo e guidò involontariamente i cacciatori alla sua tana.
I tre uomini si fermarono a decidere cosa fare di tre cuccioli tirati fuori dalle radici di un faggio abbattuto. I cuccioli, spaventati e raccolti in un angolo, ululavano o emettevano flebili ringhii.
– Sparagli subito! E tutto finirà – disse Marco. – Cresceranno, e poi inseguirli sarà un problema.
– Ma che dici – li coprì Luigi – sono solo cuccioli.
– Ma dai, Luigi, sei così pauroso! Lascia che ci pensi io, – insisteva Marco.
– E tu invece, mi sembri molto coraggioso contro i cuccioli con un fucile. Incontrane uno tra un anno e vediamo quanto sei audace.
– Non discutere con questo pazzo, – intervenne il terzo. – Meglio seguire la lupa, vedi, tracce di sangue sull’erba. L’abbiamo colpita bene, non andrà lontano. E senza di lei questi moriranno di fame.
Quando i cacciatori si allontanarono, Luigi si accovacciò vicino ai cuccioli silenziosi.
– Cosa faccio con voi, bambini?
I piccoli si erano ammassati in un mucchio, ascoltando il suono dello strano essere che emetteva odori pericolosi e decisamente poco adatti al bosco. Improvvisamente, un brivido attraversò la schiena di Luigi e il senso di pericolo lo costrinse a girarsi bruscamente. Dal tronco di un vecchio faggio, una lupa lo fissava con occhi d’acciaio. L’orecchio sinistro era spezzato e un rivolo di sangue le scendeva dalla testa, ma le macchie rapprese sulla pelliccia indicavano che la ferita non era più così forte come all’inizio.
Luigi si alzò, istintivamente sollevò il fucile, e la lupa fece un passo indietro, scomparendo dietro il tronco.
– Sei furba, proprio furba! – sussurrò Luigi, calmato. – E la tua ferita, da quel che vedo, è di poco conto… Ok, torna pure dai tuoi cuccioli e nascondili meglio.
Lasciò cadere il fucile, allontanandosi lentamente e senza movimenti bruschi verso il margine del boschetto, tenendo d’occhio la lupa. L’animale lo seguì con lo sguardo, come se volesse memorizzarlo.
C’era silenzio. La tempesta era finita, solo pochi fiocchi cadevano qua e là. Luigi era disteso contro una calda pelliccia pelosa, giocherellando con le fibre. Non completamente cosciente, sorrise: “Fedele! Sei sempre con me, Fedele”.
E allora la mente lo colpì con un altofrutto: “Sono morto! E Fedele è stato colpito anni fa da un cacciatore ubriaco che l’ha scambiato per un lupo”.
Ma la pelliccia continuava a sfiorargli il volto. Riprendendo coscienza, Luigi aprì gli occhi, sollevò la testa e rimase sorpreso. Non poteva credere: giaceva accanto a un lupo. No, non proprio accanto, ma abbracciato a lui. Si guardò intorno con cautela. No, non un solo lupo. Dintorno a lui, anzi, coprendolo, stavano sdraiati i predatori dalle pellicce innevate. Luigi temeva anche di muoversi, aveva paura perfino di respirare.
– È possibile che abbiate passato l’intera notte a scaldarmi voi? – pensiero assurdo.
Ma una vocina astuta dentro di lui sussurrò: – Certo che no! State custodendo la colazione.
Sentendo che l’uomo si era svegliato, i lupi si alzarono in piedi uno ad uno, scrollandosi di dosso la neve. L’ultima lupa a rialzarsi fu quella con un solo orecchio, che gli aveva tenuto le gambe coperte. I lupi, tutti insieme, grossi e potenti, veri capibranco della foresta.
– Bel gruppo hai cresciuto, – borbottò Luigi guardandoli.
La lupa lo guardò con calma, poi si girò e si allontanò lentamente verso gli alberi in lontananza. I lupi la seguirono in fila indiana. L’uomo, stordito, li osservava allontanarsi, ancora temendo di muoversi…
La gamba! Strano, non sentiva più dolore, e con sorpresa, cercare di alzarsi, si accorse di riuscirci. Poi raggiunse il fucile, lo prese e, appoggiandosi ad esso, fece qualche passo.
– Posso camminare! – pensò gioioso. – Se una cintura di lana di cane guarisce, allora un cappotto di pelle di lupo fai miracoli! – cercò di scherzare.
Camminando cautamente, si mosse dalla parte opposta al branco fuggito. “Devo continuare. Camminare finché posso. Sicuramente ci stanno cercando”.
Non ricordava quanto avesse camminato, ma infine sentì degli spari, poi delle voci. Attraverso il velo delle lacrime vide alcune persone avvicinarsi di corsa.
– È qui! È vivo! – gridò una voce crescente di eccitazione. Era suo cugino, Matteo.
Matteo lo raggiunse in un attimo, con foga lo buttò a terra, premendo sul fratello incosciente contro la neve, strizzandogli le spalle e continuando a urlare di gioia:
– Vivo! Vivo, maledetto!
– Smettila di soffocarlo! – protestarono gli uomini che li seguivano. – Lo ammazzi!
Aiutarono Luigi a rimettersi in piedi, e Matteo, incapace di trattenere le emozioni, continuava a stringerlo, dando colpetti affettuosi alle costole.
– Vivo, fratellone, sei vivo!
Luigi, con un sorriso stupido, non riconosceva il suo solito fratello serio e riservato, che ora sembrava un ragazzo emozionato, con le lacrime di gioia che gli scorrevano sul viso.
“Vivi accanto a qualcuno, e fino alla fine non sai davvero chi sia…” – pensò nuovamente Luigi.
– Vivo, fratellone, almeno sei tu vivo! – continuava Matteo.
– Cosa intendi, almeno io? – mormorò Luigi con fatica.
Il viso di Matteo si fece scuro mentre cominciava a spiegare:
– Sai, un’ora fa abbiamo trovato Marco in un burrone. È scivolato e ha rotto il collo, è morto senza mai riprendersi. È stato lì tutta la notte, coperto di neve, lo abbiamo trovato solo per caso.
Uno degli uomini sparò tre colpi in aria per segnalare, e in lontananza si udì il rombo crescente di una motoslitta. Quando arrivò, Luigi fu sollevato come un bambino e adagiato nel carro, avvolto stretto in un caldo giubbotto di pelle di pecora.
– Ecco, bevi dell’acqua viva, – diceva Matteo, porgendogli un bicchiere di grappa.
– Lupi! – gridò improvvisamente qualcuno. Tutti guardarono in silenzio in direzione della foresta lontana, dove il branco di lupi si stava allontanando scuro come punti scuri contro l’orizzonte.
– Che fortuna, Luigi! – esclamò Matteo. – Hai superato la tempesta e non sei stato sbranato. Si vede che non ti hanno trovato.
– Sì, meno male! – biascicò lui, il liquore aveva fatto effetto, – FORTUNATO A ESSERE TROVATO!
Luigi dormiva avvolto nel calore del giubbotto di pelle di pecora. Non avvertiva il fischiare del vento, il ronzare del motore traballante, né si accorgeva degli scossoni del mezzo sopra i cumuli di neve. Solo un leggero sorriso attraversava il suo volto mentre sussurrava nel sonno:
– Sei qui, Fedele? … Fedele!…
Non hai scampo, lo sai. La notte sta arrivando, la tormenta inizia. Non arriverai al mattino.
