“Non hai nulla per giustificarti davanti a me.” Chiara alzò una mano, indicando alla madre la porta. “Vai via!”
Dopo le lezioni all’istituto professionale, Chiara si incamminò nella direzione opposta rispetto alla fermata dell’autobus. Mancavano pochi giorni alla festa della donna, e ancora non aveva comprato un regalo per la nonna. Non riusciva a decidere cosa prendere. Si affrettò verso il negozio quando, dalla borsa, risuonò la suoneria del telefono. Chiara si fermò e lo prese. Era la nonna.
“Nonna, arrivo presto,” disse Chiara.
“Bene,” rispose la nonna, ma Chiara percepì qualcosa di strano nella sua voce, come se si sentisse in colpa.
“Stai bene?” chiese in fretta, prima che la nonna potesse riagganciare.
“Tutto bene. Solo… cerca di arrivare prima.” E la linea si interruppe.
Chiara riprese a camminare, ma questa volta verso la fermata, chiedendosi perché la nonna la volesse a casa in fretta. “Qualcosa non va. Ma perché non me l’ha detto al telefono? Devo richiamare, altrimenti questa ansia mi uccide…” In quel momento, vide il suo autobus avvicinarsi e si mise a correre per non perderlo.
“Forse le hanno rubato il portafoglio al supermercato, e si è sconvolta. O magari si è sentita male, pressione alta? Sembra così. E questo autobus perché va così piano? Ha beccato tutti i semafori rossi…” pensava Chiara, tormentata dall’incertezza, mentre osservava la città scorrere dal finestrino.
Finalmente arrivò la sua fermata. Scese e si affrettò verso casa. Entrando nel cortile, lanciò un’occhiata alle finestre del loro appartamento. Era ancora giorno, ma la luce della stanza era accesa. Un brivido di preoccupazione la attraversò, e corse verso il portone. Davanti alla porta, si fermò, frugando nella borsa alla ricerca delle chiavi.
“Dove cavolo sono?” esclamò, frustrata.
In quel momento, la serratura scattò. La porta si aprì e apparve la nonna.
“Mi aspettavi dietro la porta?” chiese Chiara, sorpresa.
“Entra,” rispose breve la nonna, spalancando la porta.
Chiara entrò nell’ingresso e osservò attentamente la nonna. Notò subito la sua agitazione.
“Cosa succede, nonna?”
“Succede, Chiara…” La nonna si guardò alle spalle, verso la porta socchiusa della stanza, poi si avvicinò e sussurrò: “Abbiamo ospiti.”
“Chi?” domandò Chiara, altrettanto basso.
L’ansia della nonna le si era già contagata. Nella mente le passarono immagini e nomi di chiunque potesse presentarsi così all’improvviso e turbare la sua solita calma.
“Lo vedrai. Togliti il cappotto,” la sollecitò la nonna.
Chiara lo appese e notò un cappotto femminile che non conosceva, e sotto, scarpe eleganti di vernice bianca. Le sue stesse fantasie d’abbigliamento.
Guardò interrogativa la nonna, ma questa le lanciò solo uno sguardo preoccupato e aprì la porta. Chiara si lisciò i capelli nervosamente ed entrò per prima. Di solito, di sera accendevano solo la lampada da terra, ma quella volta la grande lampadario al centro della stanza era acceso. Con la coda dell’occhio, Chiara notò un movimento sul divano e vi fissò lo sguardo.
Una donna in abito nero si alzò dal divano. Il collo scollato lasciava intravedere le clavicoli sporgenti. I capelli scuri erano raccolti in una crocchia malferma, con ciocche ribelli. Aveva occhi stanchi, il viso scavato. Sembrava esausta, malata, o appena uscita da un funerale.
Alla vista di Chiara, sorrise, ma era un sorriso teso. E in quel momento, Chiara sentì una fitta di riconoscimento. Nella mente le balenò la parola “mamma”, e subito svanì. Non aveva altro nome per quella donna. Non la vedeva da quasi quattordici anni, ma l’aveva riconosciuta lo stesso.
Probabilmente tutto il suo sgomento si riflesse negli occhi, perché la donna smise di sorridere e si afflosciò. E cosa si aspettava? Che Chiara le saltasse al collo, felice?
Una volta era bella, ma adesso sembrava consumata, e il nero non le donava, anzi la invecchiava. Quanti anni aveva? La nonna diceva che l’aveva avuta a diciannove. Ora Chiara ne aveva venti. Quindi lei ne avrebbe trentanove. Ma sembrava molto più vecchia. La vita l’aveva maltrattata.
“Ciao, piccola,” disse la donna. “Che donna sei diventata. Una bellezza. La nonna mi ha detto che hai un ragazzo.”
Chiara lanciò un’occhiata di rimprovero alla nonna. Già ne aveva parlato. La nonna abbassò gli occhi, colpevole. La donna fece un passo verso di lei, ma Chiara indietreggiò, e l’altra si bloccò, incerta. A Chiara non veniva che la voglia di scappare, di non vederla mai più. Troppi dolori e rancori avevano riaffiorato.
“Perché sei venuta?” chiese, sollevando il mento. Nella sua voce c’era dolore, odio, rabbia. Era tutto quello che provava in quel momento.
“Sono tornata. Il tuo compleanno è vicino,” rispose la madre, più decisa, cercando di nuovo di sorridere. Ma si scontrò con lo sguardo glaciale di Chiara, e gli angoli delle sue labbra sottili caddero.
“Tra due settimane. Non è un po’ tardi per ricordarsene? E prima dov’eri? Nemmeno una telefonata?” incalzò Chiara, cercando le parole più taglienti per ferirla, per farle capire quanto fosse indesiderata.
“Chiara, non ricordi? Ti mandava i soldi,” intervenne la nonna, quasi scusandosi.
“Ah sì, certo. Ben mille euro! Con quelli compravamo la pasta, il riso, la farina, per farli durare fino al compleanno successivo. Perché sei tornata? Potevi fare un bonifico, come al solito. O forse questa volta i soldi non ci sono? Sei venuta di persona, pensando di farci un favore?” Chiara ridacchiò, ma il suo sguardo rimase freddo e ostile.
“Non ho bisogno dei tuoi mille euro. E non ho bisogno di te. Non venire al mio compleanno. Mi hai vista? Ora puoi tornare da dove sei venuta.”
Ma la madre non si mosse.
“Quando tornavo da scuola, la nonna mi diceva che avevi chiamato. Inventava che mi mandavi i saluti e che saresti venuta presto. Io, povera stupida, ci credevo. Ma tu non hai mai richiamato. E ho capito che la nonna mentiva. Voleva che io credessi che ti importassi di me. E io facevo finta di crederci, per non ferirla. Così ci siamo prese in giro a vicenda per anni,” disse Chiara, amareggiata.
“A scuola mentivo alle amiche, dicevo che mi avevi chiamato, che mi avevi fatto gli auguri e mandato un sacco di soldi per i regali. Che stavi risparmiando per comprare una casa e che saresti venuta a prendermi. E ci credevo pure io. La verità era troppo dura: che mi avevi abbandonata e dimenticata.”
“Io ti ricordavo…” tentò la madre, ma Chiara la interruppe.
“Dopo la terza media sono andata all’istituto professionale per imparare a cucire e aiutare la nonna. Dopo un anno già cucivo vestiti e camicie daEppure, anni dopo, quando sua figlia le chiese di quella donna in fotografia, Chiara si ritrovò a rispondere con un sussurro: “Era tua nonna, dolcezza,” mentre stringeva la piccola tra le braccia, sentendo per la prima volta una fragile tregua nel suo cuore.