18 marzo 2024
“Non hai niente con cui giustificarti.” – Beatrice alzò una mano, indicando alla madre la porta. – “Vattene!”
Uscita dall’istituto di moda, Beatrice si diresse nella direzione opposta alla fermata dell’autobus. Mancavano pochi giorni all’8 marzo, e non aveva ancora comprato il regalo per la nonna. Non riusciva a decidere cosa scegliere. Camminava frettolosamente verso il negozio quando, dalla borsa, risuonò il tono smorzato del telefono. Si fermò e lo tirò fuori. Era la nonna.
“Nonna, arrivo presto,” disse Beatrice.
“Bene,” rispose la nonna.
A Beatrice parve che avesse altro da dire. E la sua voce era strana, quasi colpevole.
“Tutto bene?” chiese in fretta, prima che la nonna potesse riagganciare.
“Sì, sto bene. Solo… cerca di arrivare presto.” E la linea si interruppe.
Beatrice riposte il telefono nella borsa, si voltò e si diresse verso la fermata, chiedendosi perché la nonna volesse che tornasse a casa in fretta. “Qualcosa non va. Ma perché non me l’ha detto al telefono? Dovrei richiamare, muoio dall’ansia…” Ma in quel momento vide il suo autobus avvicinarsi alla fermata e si mise a correre per non perderlo.
“Magari le hanno rubato il portafoglio al mercato, e si è arrabbiata. O forse si è sentita male, le è salita la pressione? Sembra probabile. E perché questo autobus va così piano? Sembra che abbia preso tutti i semafori rossi. Sarei arrivata prima a piedi…” pensò, tormentata dall’incertezza, fissando la città che scorreva oltre il finestrino.
Finalmente la sua fermata. Scese e si affrettò verso casa. Entrando nel cortile, lanciò un’occhiata alla finestra del loro appartamento. Era ancora giorno, ma la luce in salotto era accesa. Un’ondata di preoccupazione la travolse, e corse verso il portone. Davanti alla porta, si fermò, frugando nella borsa alla ricerca delle chiavi.
“Ma dove sono?!” esclamò, nervosa.
E allora il chiavistello scattò, la porta si aprì e apparve la nonna.
“Mi stavi aspettando davanti alla porta?” chiese Beatrice, sorpresa.
“Entra,” rispose seccamente la nonna, spalancando la porta.
Beatrice varcò la soglia e scrutò attentamente la nonna. Non le sfuggì che era agitata.
“Che succede, nonna?”
“È successo qualcosa, Bea…” La nonna guardò verso la porta socchiusa della sala, poi si avvicinò e sussurrò: “Abbiamo ospiti.”
“Chi?” domandò Beatrice, abbassando la voce a sua volta.
L’ansia della nonna le era contagiosa. Nella sua mente sfilavano immagini e nomi di chiunque potesse presentarsi all’improvviso e sconvolgere la solita calma della nonna.
“Lo vedrai. Togliti il cappotto,” la guidò la nonna.
Beatrice lo appese e notò un cappotto estraneo sull’attaccapanni. Sotto, sul pavimento, c’erano stivali bianchi alti. Mise da parte le sue scarpe, osservando quegli stivali con cui avrebbe solo sognato di camminare.
Alzò gli occhi verso la nonna, interrogativa. Ma quella le lanciò solo un’occhiata preoccupata e aprì la porta. Beatrice si passò una mano tra i capelli, lisciandoli, ed entrò per prima. Di solito, la sera accendevano solo la lampada da tavolo. Ma oggi la grande lampadario a sei bracci illuminava a giorno la stanza. Con la coda dell’occhio, Beatrice colse un movimento sul divano e vi fissò lo sguardo.
Una donna in un vestito nero si alzò in piedi. Il collo scoperto mostrava clavicole sporgenti. I capelli scuri erano raccolti in una crocchia disordinata, con ciocche ribelli. Aveva occhi stanchi. Sembrava esausto, malato, o appena uscita da un funerale.
Alla vista di Beatrice, sorrise, ma in modo forzato. E allora Beatrice sentì una fitta di riconoscimento. Nella sua mente balenò la parola “mamma”, e svanì subito. Nessun altro nome le venne in mente. Solo una sconosciuta. Non la vedeva da quasi quattordici anni, eppure l’aveva riconosciuta.
Forse i suoi occhi tradirono tutto ciò che provava in quel momento, perché la donna smise di sorridere e si afflosciò. E cosa si aspettava? Che Beatrice fosse felice e le corresse incontro?
Una volta era bella, ma ora sembrava stanca, e il nero non le donava, anzi la invecchiava. Quanti anni aveva? La nonna diceva che l’aveva avuta a diciannove. Beatrice ne aveva venti. Quindi lei ne aveva trentanove. Ma le sembrava molto più vecchia. La vita l’aveva consumata.
“Ciao, piccola,” disse la donna. – “Sei così grande. Proprio una bellezza. La nonna mi ha detto che hai un ragazzo.”
Beatrice lanciò un’occhiata accusatoria alla nonna. Aveva già spifferato tutto. La nonna abbassò gli occhi, colpevole. La donna fece un passo verso di lei, ma Beatrice indietreggiò, e l’ospite si bloccò, incerta. Beatrice voleva solo scappare, non vederla mai più. La sua visita aveva risvegliato troppe ferite.
“Perché sei venuta?” chiese, sollevando il mento. Nella sua voce c’erano dolore, odio e rabbia. Era tutto ciò che provava in quel momento.
“Sono tornata. Il tuo compleanno è tra poco,” aggiunse la madre, con più sicurezza, cercando di sorridere ancora. Ma incrociò lo sguardo gelido di Beatrice, e il sorriso svanì.
“Tra due settimane. Non è un po’ tardi per ricordarsene? E prima dove eri? Nemmeno una telefonata?” incalzò Beatrice, come se volesse colpire dove faceva più male, farle capire quanto fosse indesiderata.
“Bea, non ricordi? Mandava i soldi,” intervenne la nonna, in tono di scusa.
“Certo che ricordo. Ben cinquecento euro! Ci compravamo la pasta, il riso, il grano saraceno, perché durassero. Fino al prossimo compleanno. Perché sei venuta? Potevi fare un bonifico. O questa volta non c’erano soldi? Sei venuta di persona, pensavi di farci un favore così,” Beatrice sbuffò, ma il suo sguardo rimase tagliente.
“Non mi servono i tuoi soldi. E non servi tu. Non venire al mio compleanno. Mi hai vista? Puoi tornare da dove sei venuta.”
Ma la madre non si mosse.
“Quando tornavo da scuola, la nonna mi diceva che avevi chiamato. Inventava che mi mandavi i saluti e promettevi di tornare presto. Io, povera stupida, ci credevo. Ma non richiamavi mai. E capii che la nonna mentiva. Voleva che credessi che ti ricordavi di me. E io facevo finta, per non rattristarla. Così ci siamo mentite per anni,” disse Beatrice, con amarezza.
“A scuola mentivo alle amiche, dicevo che mi avevi chiamato, fatto gli auguri, mandato un sacco di soldi per i regali. Che stavi risparmiando per comprare una casa e saresti venuta a prendermi. E ci credevo. La verità era troppo crudele: che mi avevi abbandonata e dimenticata.”
“Io mi ricordavo di te…” provò a dire la madre, ma Beatrice la interruppe.
“Dopo le medie sono andata all’istituto di moda per imparare a cucire e aiutare la nonna.Beatrice chiuse gli occhi, respirò profondamente, e per la prima volta in quattordici anni, sentì che forse, solo forse, un giorno avrebbe potuto perdonare.