Vera Lombardi si ferma all’ingresso del palazzo e prende fiato. Le buste della spesa le tirano le braccia, e salire al quinto piano senza ascensore diventa sempre più faticoso. Settantatré anni non sono uno scherzo, anche se non lo ammetterebbe mai.
“Zia Vera!” una voce la chiama dal basso. “Aspetti, la aiuto!”
Vera si gira e vede il vicino del terzo piano salire le scale. Un ragazzo giovane, si chiama Marco, fa qualcosa con i computer. Sempre con le cuffie, ma educato.
“Non serve, faccio da sola,” taglia corto, stringendo le buste al petto.
“Ma è un piacere, zia Vera. Tanto vado a casa anche io.”
Marco cerca di prendere una delle buste, ma lei ritrae la mano con un gesto secco.
“Te l’ho detto—non serve! Non sono una bambina, posso farcela!”
Il ragazzo resta immobile, perplesso.
“Va bene… come vuole.”
La supera e scompare nel pianerottolo. Vera lo fissa con sguardo torvo. Che eroe! Poi correrà a raccontare a tutti della vecchietta incapace al quinto piano.
Sale lentamente, fermandosi a ogni rampa. Le buste sono pesanti—ha comprato il necessario per la settimana per evitare altre uscite. Ma ammetterlo è fuori discussione.
Finalmente arriva alla sua porta. Le chiavi, ovviamente, sono in fondo alla borsetta. Mentre cerca, una busta le sfugge e cade a terra. Le mele rotolano per le scale.
“Diamine,” borbotta tra sé.
La porta accanto si socchiude.
“Vera? Tutto bene?” Anna Bianchi, la pensionata del quarto piano, fa capolino.
“Tutto a posto,” brontola Vera, raccogliendo le mele. “Si è strappata la busta.”
“Venga, la aiuto!” Anna esce in pantofole. “Ha fatto la spesa da sola? Poteva chiamarmi, sarei venuta con lei!”
“Non ho bisogno di aiuto,” Vera si raddrizza, premendo le mele contro il petto. “Ce la faccio.”
“Ma perché è così orgogliosa?” Anna alza le mani. “Siamo vicine, ci dobbiamo aiutare!”
“Non voglio la vostra pietà!” quasi urla Vera. “Si occupi dei fatti suoi!”
Apre in fretta la porta e la sbatte, lasciando Anna sul pianerottolo con aria offesa.
In casa, silenzio e fresco. Vera posa le buste in cucina e si siede. Le mani le tremano per la fatica e l’irritazione.
Perché tutti si ficcano nei suoi affari? Ha vissuto da sola per anni e se l’è sempre cavata. Ora invece sembra che tutti vogliano impicciarsi.
Inizia a disfare la spesa. Pane, latte, salumi, conserve. Il necessario. Non è bastato per la carne, ma poco importa. L’importante è che nessuno pensi che non possa badare a sé stessa.
Squilla il telefono. Vera guarda il display—è Olga, sua figlia, da Milano.
“Pronto, mamma, come stai?”
“Tutto bene,” risponde, forzando un tono allegro.
“Ho pensato… perché non assumi una domestica? Una brava donna. Verrebbe una volta a settimana, pulirebbe e farebbe la spesa.”
“Una domestica? Sono forse invalida?”
“No, mamma, sarebbe più comodo. E io starei più tranquilla.”
“Non voglio nessuna domestica! So badare a me stessa!”
“Mamma, non fare la testarda. Hai settantatré anni…”
“E allora? Mi butti in una casa di riposo? O direttamente in una bara?”
“Ma cosa dici?” Olga è confusa. “Voglio solo aiutarti.”
“Non ho bisogno di aiuto! Basta con questa storia! Tutti mi trattano come se fossi inutile.”
“Stai male? Sembri arrabbiata.”
“Non sono arrabbiata. Sono stanca di questa falsa premura.”
Riattacca senza aspettare la risposta. Il cuore le batte forte, le tempie pulsano. Si siede nella sua poltrona preferita.
Il salotto è arredato con mobili vecchi ma robusti. Alle pareti, foto di nozze col marito defunto, Olga bambina, feste di famiglia. Un tempo la rendevano felice, ora solo malinconica.
Il telefono squilla di nuovo. Vera non risponde. Che chiamino pure. Non ha bisogno di nessuno.
Ma le chiamate continuano. Dieci minuti di squilli incessanti.
“Ma che diavolo!” afferra il ricevitore.
“Mamma, perché hai riattaccato? Mi sono preoccupata!”
“Non è successo niente. Non volevo parlare.”
“Senti, e se venissi a vivere da noi a Milano? C’è una stanza libera ora che Paolo si è sposato. Staresti con i nipotini, non saresti sola.”
Vera sente un nodo alla gola.
“Non voglio trasferirmi. Qui ho vissuto per quarant’anni, questa è casa mia.”
“Ma sei sola lì! E se ti succede qualcosa?”
“E cosa dovrebbe succedermi? Non sono ancora una reliquia!”
“Mamma, perché reagisci così? Mi preoccupo per te.”
“Non voglio la tua preoccupazione!” ribatte. “Ho vissuto senza e continuerò così.”
Stacca la spina del telefono. Ora provino a chiamare.
Silenzio. Vera guarda fuori dalla finestra. Bambini che giocano, mamme con i passeggini. La vita va avanti.
E lei è sola, arrabbiata con il mondo.
Perché la considerano inutile? Sì, è più lenta, si stanca prima. Ma è motivo di compassione? Non possono lasciarla in pace?
Ricorda quando Anna le propose di cucinare insieme.
“Perché fare doppia fatica?” diceva. “Cuciniamo insieme e dividiamo. Risparmiamo e ci divertiamo.”
Vera rifiutò. Non voleva obblighi. E se Anna avesse poi vantato di sfamare la povera vecchietta?
O quel ragazzo, Marco. La settimana scorsa la vide con una borsa pesante e insistette per portarla su. Per poco non lo insultò. Lo faceva per prenderla in giro? O voleva davvero aiutare?
Vera scuote la testa. No, non è possibile che siano tutti così buoni. Ognuno avrà i suoi secondi fini.
Quella sera, scopre che il latte è andato a male. Forse è rimasto troppo al caldo mentre saliva le scale. Deve tornare al supermercato.
Fuori è buio. Vera non ama uscire di sera, ma non ha scelta. Prende il cappotto ed esce.
Il negozio è affollato e rumoroso. Prende il latte e fa la fila. Davanti a lei, una giovane mamma con un bimbo in braccio che piange.
“Piano, amore,” sussurra la donna. “Torniamo a casa.”
Il bambino urla più forte. La fila mormora.
“Perché non va a un’altra cassa?” dice una signora dietro. “Così blocca tutti.”
La mamma arrossisce.
“Scusi, è stanco. Facciamo in fretta.”
“Fretta, fretta,” brontola l’altra. “Di sera non si porta i bambini a fare la spesa.”
Vera osserva la scena e sente un groppo al cuore. La giovane è smarrita, il bimbo piange, la gente è irritata.
“Me lo tenga io,” dice improvvisamente, allungando le braccia.
La mamma la fissa stupita.
“Non ha paura? Potrebbe piangere di più.”
“Non fa niente,” Vera prende il bambino.
Lui si zittisce, fissandola con occhioni curiosi. Vera lo culla piano, canticchiando.
“Grazie mille!” sorride la madre. “Pago e ci siamo.”
Quando la donna se ne va, Vera resta con il latte in mano. PerchéTornata a casa, riattacca il telefono alla presa e chiama Anna per invitarla a cena, pronta a ricominciare a vivere.






