Non ho dimenticato niente

“Non ho dimenticato nulla”

«Ultimamente vai sempre in ospedale da tua sorella, ogni giorno corri lì con le borse piene», borbottò Andrea alla moglie Chiara, mentre cenavano dopo il suo ritorno dalla struttura.

«Perché ti dà così fastidio?» domandò lei, sorpresa.

«Non è fastidio. Capisco che sia tua sorella, ma Claudia non è in condizioni gravi. C’è il marito, i figli, la nuora… Perché devi andare tu ogni giorno? O forse c’è un dottore affascinante che vuoi incontrare?»

«Che sciocchezze dici!» lo rimproverò Chiara. «Tra l’altro, il medico di Claudia è una donna. Quindi la tua teoria cade miseramente.»

«Seriamente, spiegami. Perché correre all’ospedale dopo il lavoro? Ti alzi alle sei per preparare brodi e spremute, poi la sera… Sembra una punizione volontaria. Sei esausta.»

«Va bene, ti racconterò», sospirò lei, sparecchiando. «Facciamo un caffè e ne parliamo.»

«Finalmente», annuì Andrea. «Perché davvero non capisco.»

***

Diciassettenne, dopo il liceo, Chiara Lombardi lasciò il paesino calabrese per studiare a Milano. I genitori, contadini, non potevano mantenerla all’università, ma riuscì a entrare in un istituto tecnico giuridico. Preferiva quella possibilità al destino di commessa come la madre, o a sposarsi con qualche ragazzo del posto.

Aveva lasciato senza rimpianti il fidanzatino Luca, contento di lavorare nei campi e aspettare la leva obbligatoria. Lui si sposò a diciannove anni con una compaesana, mentre Chiara affrontava la vita cittadina: stanza in un convitto, studio ossessivo per la borsa di studio e i bonifici mensili dei genitori, sempre più radi.

Quel pomeriggio d’autunno lo ricordava nitido: tornava in tram dalla biblioteca, durante l’ora di punta. Sudava tra la folla, aggrappata agli appunti di diritto civile. Quando scese, scoprì la borsa tagliata. Il portafoglio, con lo stipendio dei genitori e la sua borsa di studio, era sparito.

Tremava. Aveva solo una confezione di burro, due cipolle e un pacco di pasta in camera. I genitori, già in difficoltà, le avevano chiesto di risparmiare. Vergognarsi con loro era peggio della fame.

«Perché piangi?» chiese Martina, la coinquilina. Ascoltata la storia, scrollò le spalle: «Colpa tua. Chi porta tutti i soldi insieme? Dovevi metterli nel reggiseno. Sei ingenua come una gallina.»

Chiara sapeva di aver sbagliato. Pensò di cercare lavoro, ma servivano settimane per uno stipendio. Martina le propose un “amico generoso”, un signore anziano disposto a aiutarla in cambio di compagnia.

«Mai», rispose Chiara, asciugandosi gli occhi. Chiese un prestito, ma Martina rise: «Speso tutto in vestiti. Rifletti: quando si ha fame, i principi valono meno.»

La notte, Chiara si addormentò stremata dal pianto. Sognò il paesino, i campi di ulivi, e si svegliò determinata: non sarebbe tornata indietro. Mai, a nessun costo.

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