“Non ho mai chiesto di diventare una matrigna – non era la mia vita, non la mia scelta.”
Quando ho conosciuto Roberto, lui è stato subito chiaro: tre figli dal primo matrimonio, gli alimenti da pagare, regali generosi per i bambini e l’idea di comprare un appartamento a ciascuno. Io avevo ventisette anni, lui trentasette. Sapevo in cosa mi stavo imbarcando. Anzi, ero perfino contenta che non mi avrebbe spinto ad avere figli – mi sono sempre considerata tra quelli che non vogliono diventare genitori. Childfree: una scelta consapevole, definitiva. Vita libera, libertà di movimento, lavoro, tempo per me.
All’inizio andava anche bene. Roberto affittava una grande casa fuori Firenze, guadagnava bene. I bambini – educati, simpatici – venivano da noi nei weekend e dormivano lì. Mi trovavo bene con loro, guardavamo film insieme, cucinavamo qualcosa di buono, mi trattavano con rispetto. Insomma, il ruolo della “zia simpatica del weekend” mi andava bene. Nessuno dava fastidio a nessuno.
Così è stato per due anni. Poi… tutto è andato a rotoli. Il figlio maggiore ha compiuto quattordici anni, si è scontrato con la madre ed è praticamente scappato da noi. Roberto, come al solito, lavorava dall’alba al tramonto, e io sono rimasta sola con un adolescente ribelle. Porte che sbattevano, musica a tutto volume, risposte sgarbate. Nella mia casa c’era un bambino straniero che si comportava come se io non esistessi – e aveva ragione, perché in effetti per lui non ero nessuno.
Dopo tre mesi, l’ex moglie di Roberto ci ha mandato “temporaneamente” anche gli altri due. Diceva di trasferirsi a Milano per lavoro, una posizione importante, che avrebbe preso i figli non appena sistemata. Ma quel “temporaneamente” è durato un anno. I bambini sono ancora con noi. Nessuna telefonata, nessun accenno che la madre li volesse riprendere.
Adesso in casa mia vivono tre bambini che non sono miei. Il maggiore mi ignora, fa tutto il contrario di quello che gli dico, come se fossi la domestica. Il secondo non riesce a stare al passo con la scuola, ogni sera devo aiutarlo con i compiti. Il più piccolo è il meno problematico, ma devo accompagnarlo alle attività extra, ai corsi, alle gare. E tutto ricade su di me.
Non ho firmato per questo. Non voglio essere la babysitter, l’istitutrice, l’autista e la cuoca in una sola persona. Non ho tempo per lavorare. Facevo freelance, avevo clienti fissi, commissioni, introtti. Adesso – silenzio. La gente ha smesso di aspettarmi perché sono sempre con i bambini. I giorni passano tra corse e faccende domestiche. E io, in tutto questo, dove sono?
Ho provato a parlare con Roberto. Con calma, da adulti. Lui annuisce, ma ripete sempre lo stesso: “Sono i miei figli, non posso buttarli fuori.” E aggiunge: “Lo capisci, non è colpa loro…” Sì, non è colpa loro. Ma non è colpa mia neanche io. Non li ho messi al mondo. Non ho promesso di fare la madre. Non sono disposta a sacrificare la mia vita per le scelte altrui.
Negli ultimi giorni mi ritrovo a pensare che non ci sia via d’uscita. Solo il divorzio. Solo la libertà. Sono stanca di essere ostaggio di una famiglia che non è la mia, di errori che non ho commesso, di bambini che non sono miei. Non sono cattiva. Sono solo una persona che vuole vivere la propria vita, non quella imposta da qualcun altro. E se lui non lo capisce, vuol dire che fin dall’inizio abbiamo parlato lingue diverse.