Non lasciare sfuggire la tua opportunità

**Non perdere la tua occasione**

Mezzo anno fa è morta la vecchia vicina di casa di Elisabetta. Suo marito è rimasto solo. Si è rattristato, si è ripiegato su se stesso, curvato come se il peso del dolore lo schiacciasse a terra. Quasi non usciva più. I vicini gli portavano pietanze, qualcuno andava a fare la spesa per lui.

Era un po’ sordo e smemorato. Si sedeva davanti alla tv con il volume al massimo e dimenticava il bollitore sul fuoco. Una volta ha rischiato di provocare un incendio e di morire soffocato. Da allora, Elisabetta teneva una copia della chiave del suo appartamento.

Un giorno è arrivato il figlio e lo ha portato via con sé, mettendo la casa in vendita. I vicini erano contenti: non era giusto lasciare un anziano morire solo quando aveva figli in vita.

Tre settimane dopo, l’appartamento aveva un nuovo proprietario. Tutto il palazzo lo seppe subito perché arrivarono gli operai per i lavori di ristrutturazione. Giorno e notte portavano fuori mobili vecchi, sanitari anneriti dal tempo, macerie. Poi, martelli, trapano, rumori senza sosta. Elisabetta, che viveva attaccata a quel muro, ne usciva fuori di testa.

Tornare a casa dal lavoro era una torta. Il fracasso la accoglieva già sulle scale. Dopo giorni di pazienza, bussò alla porta. Ad aprirle un uomo sporco di vernice e polvere.

«Lei è il proprietario? Quanto dovrò ancora sopportare questo baccano? Mi scoppia la testa!» disse, irritata.

«Mi scusi, signora, ma mi hanno detto di finire in fretta. Ancora un paio di giorni e poi sarà solo finitura, farà meno rumore.»

«Due giorni?» Elisabetta rimase senza parole.

Da dietro la porta riprese il ronzio del trapano. Uscì in strada, dove il rumore era più sopportabile.

«Ti sta dando fastidio il nuovo vicino?» le chiese una delle donne sedute sulla panchina davanti al portone.

«L’avete visto?» ribatté Elisabetta.

«Sì. Sembra un uomo per bene» risposero in coro le altre. «Vestito bene, profumato, educato. Saluta sempre.»

«Nel nostro palazzo è arrivato un vicino fantastico» canticchiò ironica la senza denti, la signora Maria.

Le altre risero, mostrando a Elisabetta denti radi, corone metalliche e protesi traballanti.

«Preferirei che suonasse il clarino almeno!» borbottò lei.

«E tu, ci sei andata a parlare?»

«Sì. Ma che serve? Gli operai fanno il loro lavoro.»

«Elisabetta, dovresti osservare meglio il padrone di casa. È un uomo fatto bene. Per quanto starai ancora sola? Sei giovane, puoi ancora avere figli. E poi ha soldi, arriva in una macchina di lusso.»

«Vado a fare la spesa» rispose, allontanandosi per non sentire le chiacchiere.

Suo marito era morto due anni dopo il matrimonio. Non aveva fatto in tempo ad avere figli. Tredici anni sola.

*Forse il nuovo vicino viene quando sono al lavoro. È inutile lamentarsi, i lavori vanno fatti. Quella casa era ridotta male. Pazienza, gli farò pagare… quando finirà e verrà a vivere qui*, pensò, scansando una pozzanghera.

Due giorni dopo si incontrarono. Elisabetta tornava a casa esausta, desiderando solo di buttarsi sul letto. Una giornata pesante, senza nemmeno fame. Mentre si avvicinava al portone, la porta si aprì davanti a lei.

Accanto a lei c’era un uomo sui trentacinque anni. Le sorrise, mostrando denti perfetti. Capì subito che era il nuovo proprietario. Quel sorriso le sembrò sfacciato, lo sguardo altezzoso.

«Grazie» disse asciutta, entrando.

La porta si chiuse. Nella penombra del pianerottolo, sentì passi. Il cuore le batté forte. Si voltò: il vicino la seguiva.

«Passi pure. Non mi piace chi mi cammina alle spalle» disse, cercando di nascondere la paura.

Lui la superò e salì le scale. La casa era vecchia, in centro, con stanze ampie e soffitti alti. Appartamenti richiestissimi.

Al quarto piano, il vicino era già alla sua porta.

«Allora lei è la mia vicina? Piacere. Gli operai mi hanno detto che è venuta a protestare.»

«Non protestare, solo chiedere un po’ di silenzio. Sembra di vivere in un cantiere!» rispose, frugando nella borsa per le chiavi.

«Scusi. Finiremo presto, promesso» disse lui, calmo.

Elisabetta tacque, gli lanciò un’occhiata accusatoria e sbatté la porta così forte che dalla parete cadde un po’ di intonaco.

Da allora, ogni occasione era buona per sbattere la porta. Era la sua vendetta. Si godeva l’idea che quel sorriso gli sbiadisse in volto.

Una settimana dopo arrivarono i mobili nuovi. I trasportatori bloccarono le scale con un divano. Elisabetta dovuto strisciarci dietro. Mentre lo portavano dentro, sbirciò nella stanza: pareti chiare, parquet color miele…

«Vuole entrare?» Il vicino era sulla soglia. Arrossì come se l’avessero sorpresa a spiare dal buco della serratura. Entrò in fretta in casa, dimenticando di sbattere la porta. *Maledizione!*

Il weekend successivo era il suo compleanno. Il lunedì avrebbe festeggiato al lavoro, ma quel giorno c’era solo l’amica Lucia.

Lucia arrivò in ritardo, riempiendo la casa di risate e chiacchiere. Si sedettero a tavola.

«Accidenti, avremmo dovuto comprare del vino. Non so aprire lo spumante» si rammaricò Elisabetta.

«C’è qualche uomo tra i vicini?» chiese pronta Lucia.

«Quello accanto, ma…» Non fece in tempo a finire che Lucia era già alla porta.

Due minuti dopo tornò con il vicino. Non indossava un completo, ma jeans e una camicia a quadri con le maniche arrotolate.

Salutò, aprì lo spumante con maestria. Dietro di lui, Lucia alzava i pollici, sgranava gli occhi, si premeva il cuore. Il messaggio era chiaro: era conquistata.

«È il compleanno di Eli! Ha cucinato come per un matrimonio, ma non c’è nessuno con cui festeggiare» spiegò a voce alta.

Elisabetta le faceva cenni di stare zitta, ma il vicino, senza fare storie, si sedette, riempì i bicchieri e propose un brindisi:

«Alla nostra bella vicina!»

Elisabetta quasi si strozzò. Si era vestita bene per l’occasione, truccata, capelli ricci. Era davvero carina.

Lucia non lo mollava, gli riempiva il piatto, si comportava come se fosse lei la padrona di casa. Elisabetta si vergognava per quell’atteggiamento sfacciato. Poi Lucia lo trascinò a ballare, strofinandosi contro di lui, sorridendo, ammiccando.

Elisabetta sentì un groppo in gola. Quel vicino era *suo*, non di Lucia. Andò in cucina per non piangere.

Cinque minuti dopo, entrò Lucia arrossata.

«Ti sei divertita?» domandò male Elisabetta.

«Eli, che uomo!» sospirò. «Un sogno. E che ballerino! Hai detto che non ti piace, vero? Allora me lo prendo io, d’accordoE quando il vicino tornò quella sera con un anello tra le mani, Elisabetta capì che il destino a volte ci dà una seconda occasione, e questa volta non l’avrebbe persa.

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