“Non mangerò questa robaccia,” sbuffò la suocera, fissando il piatto con disgusto.
“Che cos’è?” chiese Eleonora, arricciando il nas come se avessero servito un secchio di immondizia.
“Minestrone,” rispose Serena, la nuora, con un sorriso tranquillo. Scoperchiò la pentola di ceramica e versò un brodo fumante, ricco di colori. “È una gioia cucinare con verdure del nostro orto.”
“Non vedo differenza,” commentò la suocera con tono sprezzante. “Ma certo, stare in giardino richiede fatica!”
“Certamente,” rise Serena, “ma se è una passione, non pesa mai.”
“La tua passione, non un obbligo,” borbottò Eleonora, stringendo le labbra. “Per chi hai cucinato tutto questo?”
“Per noi. Non è troppo. Solo per due pasti.”
“Non toccherò questa pappa,” dichiarò la suocera, allontanandosi con un gesto teatrale. “Questa roba è indecifrabile!” Fece finta di vomitare, coprendosi la bocca con la mano.
Serena alzò gli occhi al cielo e sospirò.
Aveva conosciuto Massimo, figlio di Eleonora, un anno e mezzo prima. Lamore era scoppiato così forte che si erano sposati un mese dopo, senza sfarzo. Con i soldi risparmiati, avevano comprato una casa in campagna, trasformandola poco a poco nel loro rifugio.
Eleonora aveva visto Serena solo quattro volte, tutte occasioni in cui lei aveva spinto Massimo a far visita alla madre. Per Eleonora, quel matrimonio era una follia. Suo figlio, bello e desiderato, poteva trovare di meglio di quella ragazza “troppo semplice.” Era convinta che la vita di città fosse nel suo sangue e che presto si sarebbe stancato di quella noiosa esistenza rurale.
Doveva affrettarsi prima che lastuta Serena lo intrappolasse con un figlio.
Per questo aveva chiamato sua nuora, accusandola di non averla invitata allinaugurazione della casa. Serena le ricordò che laveva chiamata due volte, ma Eleonora aveva sempre trovato scuse. Due giorni dopo, era lì, in quel salone luminoso, incapace di nascondere il suo disprezzo.
Suo figlio, come lei e il defunto marito, odiava le minestre! In famiglia si mangiava solo cibo riconoscibile. Come aveva permesso a quella ragazza di prendere il controllo?
“Forse un maleficio,” pensò Eleonora, rabbrividendo.
“Cosha di indecifrabile?” chiese Serena, ignorando la scenata, versandole unaltra scodella. “Cavolo, cipolle, carote, barbabietole La ricetta della nonna. Poi erbe fresche del giardino e un filo di panna!”
“Mangiatela tu!” sbottò Eleonora. “A una della tua età farebbe bene! Fibre per lintestino!”
La suocera arrossì ma continuò: “E perché obblighi Massimo a mangiare questa schifezza?”
Serena batté le palpebre. “A lui piace.”
“E se non cè altro, che fa un uomo?”
“Cucina quello che vuole? Ordina? Va dai vicini? O dalla mamma?” suggerì Serena, sorridendo.
Eleonora si infiammò. “Non essere sarcastica! Potresti almeno chiedermi cosa gli piace!”
“Eleonora, glielho chiesto direttamente. È grande. Dice che gli piace tutto.”
“Mente! Allinizio per non ferirti. Ora si sforza!”
“Ah!” fece Serena con aria divertita. “Il minestrone è pronto, non lo butteremo. Si sforzerà. E lei lo sosterrà?”
“Che?!”
“Massimo apprezzerà la sua solidarietà.”
In quel momento, la voce allegra di Massimo risuonò dallingresso. Una nuvola bianca di pelo irruppe nella stanza abbaiando.
“Aaaah!” urlò Eleonora, nascondendosi dietro Serena.
“Non abbia paura, è Luna. Non morde,” disse Serena, accarezzando il cane che si sedette obbediente.
“Perché fate entrare il cane dei vicini?” sussurrò Eleonora.
“Non è dei vicini. È nostra. Vive con noi.”
“In casa?! È antigienico! E Massimo odia i cani!”
“No, mamma, tu odi i cani,” disse Massimo entrando. “Che fortuna, sei qui per pranzo!”
Eleonora restò immobile, aspettando un bacio sulla guancia, ma Massimo si limitò a un abbraccio veloce, per poi baciare Serena sulle labbra.
“Allora, si mangia?” annusò laria, sorridendo.
“Volentieri, Massimo, ma non cè niente,” disse la madre.
“Cosa vuoi dire?”
“Hai preparato cibo per i maiali! E con che puzza, peggio del traffico in città!”
Massimo la fissò, poi guardò Serena e la tavola apparecchiata. La sua espressione si fece dura.
“Avevo dimenticato queste manie,” disse amaramente.
“Quali manie? Sono i nostri gusti, le nostre tradizioni! Non ti sei mai lamentato!”
“Da bambino, avevo paura. Da adulto, non volevo litigare.”
“Ma che dici?!” strillò Eleonora, facendo abbaiare di nuovo Luna. “Zitto!” urlò al cane, minacciandolo.
“Ha le sue preferenze,” disse guardando Serena, “ma tu perché ti fai calpestare? Ti piace mangiare schifezze? Lasci che trasformi casa in un circo? Chi comanda qui?”
“Io,” rispose Massimo, cupo.
“Allora comportati da padrone!”
“Dovè la tua valigia?” chiese lui.
“Nellingresso! E non ho mangiato da ore!”
“Bene. Ringrazia Serena per linvito.”
“Cosa?!”
“Ringraziala per lultimo tentativo e scusati.”
“Gr-gr-azie e sc-scusa,” bofonchiò Eleonora.
Serena annuì, seria.
“Andiamo.”
“Dove?”
“Dove tutto è come piace a te. Con le tue regole.”
“Massimo, io…”
“Erano i gusti tuoi e di papà, non i miei. A me diceva: ‘Se non ti piace quello che è nostro, crea il tuo.’ Lho fatto. Qui comandano i miei gusti. La padrona è mia moglie. Non ti va? Hai ancora la tua casa.”
“Figlio mio! Lei ti ha messo contro di me!” singhiozzò Eleonora. “Ti ha stregato!” aggiunse in un drammatico sussurro.
Massimo, esausto, la prese per il braccio, la portò allingresso, afferrò la valigia, aprì la porta e la accompagnò fino al cancello.
“Serena stava dalla tua parte. Non credeva che tra noi fosse così. Aveva preparato un piatto per te. Il minestrone era una prova. Hai mostrato chi sei.” Aprì il cancello. “Il taxi ti aspetta.”
“Tu… Ma… Come sapevi del taxi?!”
“Ho detto a Serena di non mandarlo via. Ha fatto bene.”
“Ma tu!”
“Io, mamma, sono il padrone. Come volevi.” Fece un cenno allautista, posò la valigia a terra e rientrò, chiudendo il cancello.
“Un maleficio,” mormorò Eleonora, già in taxi, cercando sul telefono un modo per spezzare lincantesimo. Doveva pur esserci un modo per riavere suo figlio.






