Antonio entrò con passo esitante. «Siediti», grugnì il capo, Gregorio. «Hai combinato un pasticcio ancora! Richiamo ufficiale. E niente bonus trimestrale, ti avevo avvertito!» Scosse la testa, deluso. «Promisi a tuo padre, Antonio, e tu mi tradisci! Hai trent’anni, dove stai andando? Niente famiglia, niente passioni. Che vita è?»
Sul treno regionale per Treviso, stipato tra corpi sudati, Antonio immaginò i colleghi accolti a casa da mogli sorridenti e cene calde. Lui, solo, desiderava solo un bicchiere di vino e il cuscino. Un tempo usciva, le ragazze lo notavano. Ora gli amici erano sposi noiosi, parlano solo di mutui e bambini.
Scese nella ressa della stazione. Una nonna con buste della spesa ostruiva il sottopassaggio. Tutti correvano. Dove? A venticinque anni anche lui correva. Aveva l’appartamento, lo stipendio buono in fabbrica, pure una macchina usata! Sua madre Giacinta insisteva: «Sposati, figlio! Il tempo vola! Guarda la Giulia, la figlia della vicina! Una perla: giovane, brava in casa, studia infermieristica… e ti osserva!». Lui scuoteva la testa: «Non mi serve una così! Non mi piace!».
Ora immaginò Giulia che friggeva polpette per il marito. Bambini che chiedevano: «Mamma, torna papà?». Nessuno aspettava lui. Non capì quando il gioco finì, quando la routine divenne gabbia.
Salì le scale del suo palazzo, inserì la chiave… bloccata. Scrollò la serratura. Improvvisamente, la porta si aprì dall’interno. C’era sua madre, in un accappatoio fiorito, guance rosa: «Antonino! Torni direttamente da lavoro? Sei stanco, sembri sfatto! Siamo a cena. Sbrigati, lavati le mani! Eduardo! Vieni a salutare tuo figlio!».
Antonio rimase di sasso, pietrificato.
Apparve suo padre Edoardo: «Figlio! Pensavo portassi la tua ragazza! Aspetteremo mai un nipote? Colpa mia, babbeo, mi sposai a quarant’anni. Tua madre non era più giovane. Non aspettare! Impara dai miei errori! Capito?».
«Capito, papà», riuscì a dire Antonio, bocca arida. «Grazie a entrambi… devo… scendere! Ho dimenticato una cosa!». Schizzò giù per le scale, uscì sbattendo il portone, corse senza respiro.
Si fermò all’angolo, ansimò, si voltò lentamente. Com’era finito lì? Aveva preso il treno sbagliato! Il pilota automatico l’aveva portato alla sua vecchia casa d’infanzia, la palazzina popolare. Aveva aperto… ma non era quello il punto.
Si voltò di nuovo.
La palazzina a cinque piani era sparita.
Al suo posto, un piccolo giardino pubblico.
Naturale. L’avevano demolita tre anni prima. E i suoi genitori mancavano da cinque.
Vendette quel monolocale, estinse il mutuo dell’attuale, comprò l’auto, pagò le lapidi per Giacinta ed Edoardo.
Cos’era successo? Dov’era finito? Com’era stato così vividamente da suo padre e sua madre?
Loro… vivi?
Un sogno?
Sconvolto, Antonio raggiunse il suo attuale appartamento a Milano. Si fissò a lungo allo specchio. Poi, una doccia rapida, tuta, scarpe da ginnastica, uscì.
Avevano costruito nuovi alloggi sociali vicino al vecchio sito, a dieci minuti a piedi. Probabilmente non l’avrebbe vista, Giulia era più giovane ma di certo sposata. Eppure sentì il bisogno impellente di cercarla, di confermare che aveva marito, figli, una vita… e che lui era in ritardo. Che per lui non c’era luce.
E se Giulia non avesse nessuno?
A quella domanda* non aveva risposta.
Da quella sera, Antonio passò ogni giorno dal cortile dove viveva Giulia.
Invano. Probabilmente non viveva più lì. Sposata e trasferita. Chiedere notizie gli sembrò inutile. Destino.
Sabato, si costrinse: ultimo tentativo. Idea assurda, nata da un’allucinazione! Attraversò il cortile. Mamme sulla sabbionaia. Nessuna Giulia, certo. Sebbene potesse essere cambiata.
Due ragazze chiacchieravano. Una con un bimbo, l’altra si accomiatò: «Ok, Marina! Ci sentiamo!».
«Ciao, Giù! Cucciolo, saluta la zia Giulia!».
Antonio scrutò. Era lei? Sì! Non alta, non magrissima, non gambe lunghe. Non bionda con bocca a cuore e capelli lisci come le sue preferite di un tempo. Ora gli sembravano tutte uguali.
Lei, normale. Perfetta.
Antonio si avvicinò.
«Giulia?».
Si voltò. Occhi spaesati, poi si illuminarono di calore. «Antonio? Che ci fai qui?».
«Io… abito poco lontano. Passavo. E tu? Sei impegnata? Di corsa da tuo marito?», domandò, deciso a scoprirlo subito.
Giulia sorrise radiosa, come una bimba in attesa di una sorpresa.
«No, non corro da nessuna parte. Marito ancora no! E quindi?». La voce era spumeggiante, quasi provocatoria.
Antonio capì che lei era contenta. Felice!
«Giulia… allora facciamo due passi insieme?». La guardò e sentì anche lui un’ondata di gioia previsionale. Come se il sole fosse spuntato dopo giorni di pioggia.
Non si sbagliava.
Aveva ragione sua madre. Giulia era meravigliosa. Antonio capì presto che la sua vita da scapolo era finita.
**Antonio e Giulia**
Prima del matrimonio, Antonio volle andare al cimitero a trovare i genitori, ordinare una messa, sistemare le tombe.
Giulia volle accompagnarlo. Era la vicina di casa, ricordavaE quando il piccolo arrivò, Antonio seppe che quel sogno misterioso era stato il dono più prezioso, perché gli aveva aperto gli occhi alla vera felicità.