«Non ho più bisogno di te»: come il marito lasciò la moglie quando le fu permesso di diventare madre
Quando Ludovica tornava dal lavoro quel venerdì sera, non poteva immaginare che quel giorno le avrebbe stravolto la vita. Aprendo la porta, come sempre, chiamò:
— Amore, sono a casa!
Silenzio. La casa era insolitamente tranquilla.
— Strano… Dovrebbe già essere qui, — pensò la donna, dirigendosi verso la camera da letto.
Spinse la porta e si bloccò, come paralizzata. Marcello, suo marito, era in piedi accanto al letto e riempiva frettolosamente una valigia con i suoi vestiti.
— Marcello… Che stai facendo? — sussurrò Ludovica, incapace di credere ai suoi occhi.
— Me ne vado, — rispose lui con calma, senza neanche guardarla.
— Come te ne vai? Perché?! Cosa è successo?
— È tutta colpa di tuo padre, — sbottò irritato.
— Mio padre? Ma che c’entra?
Ludovica non capiva né le parole, né il senso, né ciò che stava accadendo. Eppure, la sua vita coniugale, in cui aveva riversato tanto amore, calore e pazienza, stava crollando davanti ai suoi occhi.
Si erano conosciuti quando Ludovica aveva ventotto anni. Marcello era più grande di otto anni — sicuro di sé, affascinante, esperto. Allora le era sembrato l’uomo perfetto. Parenti, amici, tutti le ripetevano che era ora di sposarsi. “L’orologio biologico non aspetta”, dicevano. Ludovica aveva cominciato a vedere ogni pretendente come un potenziale marito, e questo spaventava gli uomini.
Ma con Marcello era stato diverso. Si erano conosciuti tramite un collega in un bar di Roma, avevano chiacchierato — e via. Lui era stato gentile, premuroso. E quando aveva scoperto che Ludovica aveva un appartamento di proprietà, una macchina nuova, un buon posto nel Comune e un padre imprenditore — era diventato ancora più affettuoso e protettivo.
Un anno dopo, si erano sposati con un matrimonio da favola. Tutto era stato pagato da suo padre. Marcello non aveva obiettato. Anzi, aveva accettato con entusiasmo un posto come commesso in uno dei negozi del suocero.
La vita di coppia sembrava un sogno: viaggi all’estero, cene, regali. Solo un dettaglio rovinava tutto: Marcello non pagava mai. Ovunque andassero, pagava Ludovica. All’inizio non ci aveva fatto caso. Poi aveva cominciato a chiedere. Infine, a supplicare.
— Perché devo fare tutto io? — si lamentava con un’amica. — Voglio sentirmi una donna, fragile, accudita.
Ma Marcello rideva:
— Tesoro, non fare sciocchezze. Va tutto bene. Non badare a queste cose.
Al lavoro faceva il minimo indispensabile, passava gran parte del tempo al telefono, e i soldi che guadagnava li metteva da parte sul suo conto. Ludovica non sospettava nulla.
Poi si ammalò. Gravemente. Rimase un mese in ospedale. I genitori andavano a trovarla ogni giorno, Marcello raramente. Quando tornò a casa, sbiancò: sporcizia, piatti accumulati, pavimento coperto di rifiuti.
— Non hai pulito per niente?! — esclamò.
— E perché avrei dovuto? Sono cose da donne, — rispose lui con indifferenza.
— Ma ero in ospedale, Marcello! E dovevo ripulire io comunque?!
— Beh, ora sei a casa. Puoi farlo tu.
Stremata, Ludovica chiamò una ditta delle pulizie. Il medico le aveva detto che il recupero avrebbe richiesto almeno un anno. Nemmeno pensarci a una gravidanza.
Dopo un anno, quando i medici le dissero che finalmente poteva provare ad avere un figlio, glielo raccontò con trepidazione.
— Lo immagini? Ora possiamo… possiamo iniziare a pianificare!
— Mmm… Ora sono occupato. Non è il momento, — borbottò lui, fissando il joystick. La nuova console, comprata con i suoi soldi, era diventata il suo unico interesse.
Passarono settimane. Lui continuava a ignorarla. Finché un giorno le disse:
— Senti, Ludovica… Me ne vado. E non voglio un figlio da te.
— Cosa stai dicendo?!
— Non ti amo. E non ti ho mai amata. Stare con te era solo comodo. Appartamento, soldi, macchina. Ora ne ho abbastanza. Sei diventata un peso. Non ho più bisogno di te.
— Marcello, tu… non puoi fare così! Hai visto come ho lottato, come ho aspettato!
— Sono problemi tuoi. Io sono libero.
Chiuse la valigia, ci infilò dentro la console — e se ne andò.
Ludovica non mangiò, non dormì, rimase seduta in casa, fissando il vuoto. Dopo tre giorni, arrivarono i genitori, preoccupati. Il padre, vedendola in quello stato, trattenne a fatica la rabbia.
La portarono nella loro villa in campagna. Marcello fu licenziato quella stessa sera. Poco dopo, grazie a conoscenze, il padre riuscì a far svanire il conto in banca del genero. Tutti i suoi “risparmi” — spariti.
Marcello rimase senza un soldo, senza lavoro, senza casa. A malapena riuscì a permettersi una stanza in affitto. Cosa fare dopo, non lo sapeva.
Ludovica, invece, dopo due mesi trovò un nuovo lavoro. Lì conobbe un uomo di nome Giorgio. Non era giovane, ma era onesto, tranquillo, e al primo sguardo provò per lei rispetto e gentilezza.
Sei mesi dopo, accadde un piccolo miracolo: due linee sul test. Lacrime, risate, una telefonata ai genitori — e una gratitudine infinita verso se stessa per aver detto, quel giorno, “basta”.