Oggi vorrei raccontare un episodio che mi ha insegnato molto sulla vita.
Era un venerdì sera quando Francesca tornava dal lavoro, ignara che quel giorno avrebbe cambiato tutto. Aprì la porta di casa e chiamò con voce allegra:
«Amore, sono tornata!»
Silenzio. La casa era insolitamente tranquilla.
«Strano… Dovrebbe già essere qui», pensò, dirigendosi verso la camera da letto.
Spinse la porta e rimase senza fiato. Marco, suo marito, era in piedi accanto al letto, impacchettando in fretta le sue cose in una valigia.
«Marco… Che stai facendo?» sussurrò, incapace di credere ai suoi occhi.
«Me ne vado», rispose lui con calma, senza neanche guardarla.
«Come “te ne vai”? Perché? Cosa è successo?»
«È colpa di tuo padre», sbottò irritato.
«Mio padre? E che c’entra lui?»
Francesca era confusa, incapace di capire le sue parole o il senso di ciò che stava accadendo. Eppure, la vita che aveva costruito con tanto amore e sacrificio stava crollando davanti a lei.
Si erano conosciuti quando aveva ventotto anni. Marco, più grande di otto anni, appariva sicuro di sé, affascinante, esperto. Allora le era sembrato l’uomo perfetto. Parenti e amici le ripetevano che era ora di sposarsi, che il tempo passava. Lei aveva iniziato a vedere ogni corteggiatore come un possibile marito, e questo spaventava gli uomini.
Ma con Marco era diverso. Si erano incontrati in un caffè tramite un collega, e la scintilla era scoccata. Era stato galante, attento. E quando aveva scoperto che Francesca possedeva un appartamento a Milano, una macchina nuova, un buon lavoro in municipio e un padre imprenditore, era diventato ancora più premuroso.
Un anno dopo, si sposarono con un matrimonio sontuoso, pagato interamente dal padre di lei. Marco, senza obiezioni, aveva persino accettato con entusiasmo un posto come commesso in uno dei negozi del suocero.
All’inizio, la vita insieme sembrava un sogno: viaggi all’estero, cene romantiche, regali. Ma una cosa rovinava tutto: Marco non pagava mai. Ovunque andassero, Francesca era sempre lei a tirare fuori il portafoglio. All’inizio non ci fece caso, poi iniziò a chiedergliela, poi a supplicarlo.
«Perché devo essere sempre io a spendere?» si lamentò con un’amica. «Vorrei sentirmi una donna fragile, accudita.»
Ma Marco rideva: «Tesoro, non essere troppo sentimentale. Va tutto bene, lascia perdere queste sciocchezze.»
Al lavoro faceva il minimo indispensabile, passando la maggior parte del tempo al telefono, mentre i pochi soldi che guadagnava li metteva da parte. Francesca non sospettava nulla.
Poi si ammalò. Gravemente. Passò un mese in ospedale. I genitori la visitavano ogni giorno, Marco raramente. Quando tornò a casa, rimase sconvolta: sporcizia dappertutto, piatti sporchi, il pavimento coperto di rifiuti.
«Non hai pulito neanche una volta?!» esclamò.
«E perché avrei dovuto? È compito delle donne», rispose con nonchalance.
«Ma ero in ospedale, Marco! E comunque devo pulire io?!»
«Be’, sei a casa ora. PuliscE quando, dopo un anno di cure, i medici le dissero che finalmente poteva provare ad avere un figlio, con il cuore in gola glielo annunciò: «Possiamo cominciare a cercare un bambino.»